Nel panorama del pensiero militare italiano, panorama che si può tranquillamente definire desolante, risalta il casertano Giulio Douhet, il maggior teorico militare degli anni Venti e l'unico la cui opera varcò i confini nazionali, studiata, analizzata, sottoposta ad aspre critiche o accolta con ampi, entusiastici consensi in Europa e in America.

Nato a Caserta il 30 maggio 1869, figlio di un ufficiale farmacista nizzardo, entra nel 1886 nell'Accademia militare di Torino, l'accademia delle armi dotte, uscendone col grado di sottotenente di artiglieria nel 1889. Dopo la Scuola di applicazione di artiglieria e genio, nel 1890 presta servizio come tenente nel 5° Reggimento di artiglieria da campagna, nel 1895 è ammesso alla Scuola di guerra di Torino per i prescritti tre anni e nel 1899, superati brillantemente gli esami, presta servizio di stato maggiore presso l'VIII corpo d'armata di Firenze. Promosso a scelta capitano nel 1900, dopo dieci anni nominato maggiore sempre a scelta, deve lasciare la sua arma di appartenenza per la fanteria transitando nel prestigioso 2° reggimento bersaglieri, stanziato a Roma.

Ambizioso, intelligente, con grandi capacità lavorative e autorevoli amicizie, ha sposato la figlia del senatore Casalis ricco e influente uomo politico, ha una carriera per i tempi abbastanza veloce, con limitati trasferimenti nell'ambito del Piemonte e regioni limitrofe, salvo il comando a Roma, in anni in cui gli ufficiali, sempre alle prese con problemi economici, venivano sballottati da un lato all'altro della Penisola. Si mise in luce con studi sull'elettronica e sullo sviluppo automobilistico che illustrò in una serie di conferenze nei circoli militari e sulla Rivista militare italiana. Pur conscio della superiorità dell'autotrasporto su quello ippotrainato, era stranamente oppositore: "all'impiego, diremo così tattico, degli automobili per lanciare riserve nel punto più opportuno del combattimento, no, assolutamente no", ritenendo assurdo: "che tutta la fanteria dell'esercito dovrebbe essere provveduta di automobili". Ribadiva il concetto: "[nelle] operazioni strategiche e tattiche l'automobilismo non potrà apportare che lievi vantaggi che chiamerei quasi di comodità". Aggiungeva: "[…] relegato in seconda linea, umile, per quanto utile, mezzo di trasporto di razioni di pane e di quarti di bue".

Dal febbraio 1904, all'epoca aveva il grado di maggiore, stese una serie di articoli sulla guerra russogiapponese per il giornale genovese Caffaro a firma "Il Capitano X.", articoli nei quali si avventura in congetture e previsioni varie in quanto le notizie arrivavano con estrema lentezza e vaghezza dal lontano Estremo oriente, ma, a differenza di molti, è sicuro della vittoria del Davide Giappone contro il Golia russo. Dai suoi articoli si evidenzia la capacità, partendo da dati approssimativi, di arrivare a conclusioni logiche.

Intorno al 1907, si inserisce nell'ampio dibattito aperto sulla difesa nazionale dopo la nomina della Commissione d'inchiesta sull'esercito, denunciando la mancata integrazione dell'esercito e della marina, la precarietà delle condizioni economiche e di carriera degli ufficiali inferiori e chiedendo, non sarà il primo, un ministero della Difesa nazionale e un Consiglio supremo di difesa nazionale. Nel 1908 scrive Il nodo della nostra questione militare in cui chiede: "Unità di governo e la separazione delle funzioni politico-amministrative da quelle tecniche", che ripropone, approfondendolo, l'anno successivo sulla rivista La Preparazione.

La sua attività di pubblicista iniziò nel luglio 1910 con La possibilità dell'aereonavigazione sulla Rivista militare italiana, si schiera subito con l'aereo, il mezzo più pesante dell'aria, che "vede" anche a seguito delle flotte: "Sarà possibile fare ciò con i dirigibili? Evidentemente no. Cogli aeroplani? Forse che sì e non è follia sperarlo". Seguono 24 articoli negli anni 1910 e 1911, tra cui sei sui Problemi dell'aeronavigazione, pubblicati su La Preparazione, testata trisettimanale nata nel 1909 ad opera del colonnello Enrico Barone, una delle teste pensanti dell'esercito, uomo dai vastissimi interessi.

Dagli elementi biografici raccolti, si evidenzia che fu solo nel 1910 che Douhet "scoprì" l'aviazione, in un periodo in cui, a seguito dei primi progressi dell'aeronautica in Italia, la stampa e l'opinione pubblica si aprivano alle problematiche che il nuovo mezzo poneva e il Parlamento, che aveva già stanziato la somma di 10 milioni, sulla patriottica sollecitazione del generale Spingardi, ministro della Guerra: "All'alto senno ed al patriottismo del Senato la risposta" ne aggiunse altri 15, anticipati dal bilancio successivo.

L'autore teorizza per la prima volta un'aviazione indipendente e intravide le enormi possibilità della nuova arma. Manifesta la sua avversione per il pilota "eroe solitario, cavaliere del cielo", afferma che il combattimento aereo sarà "necessario, inevitabile e fatale", sostiene che aerei e dirigibili non possono coesistere in guerra, di quest'ultimi sostiene l'inutilità di: "[…] seguitare affrettatamente a cucire involucri, a costruire hangars, a circondarli di caserme per compagnie del genio, […] equivale a coltivare troppo amorosamente ed a troppo caro prezzo una pericolosa illusione". Ritorna sull'argomento in un articolo del 13 febbraio 1915 sulla Gazzetta del popolo irridendo al conte Zeppelin e ai dirigibili "la cosa gonfiata". Due giorni dopo esalta un bombardamento di aerei inglesi sulle basi dei sommergibili tedeschi, sostenendo che il dirigibile era : "[…] apparecchio troppo delicato, troppo fragile, e troppo leggero per poter lottare con vantaggio, scomparirà". Le sue affermazioni vengono controbattute dai "dirigibilisti", decisi fautori del mezzo più leggero dell'aria. Dal 1912 collabora anche, insieme a Crocco e Forlanini, a La Navigazione aerea - Rivista italiana d'aeronautica.

Risaliva al 1885, con la costituzione del Servizio aeronautico presso il 3° reggimento genio di Roma, l'interesse del Regio esercito nel campo aeronautico ovviamente limitato all'epoca ai palloni aerostatici. Nel tempo il Servizio ebbe vari cambiamenti fino ad assumere la denominazione di Brigata specialisti del genio nel 1909, diventando autonomo nel 1910 con la successiva denominazione di Battaglione specialisti del genio meglio conosciuto come Battaglione aviatori. Douhet nel luglio 1912 fu nominato, col grado di maggiore, vicecomandante assumendo, con la promozione a tenente colonnello, il comando il 9 aprile 1914, dopo esserne stato comandante interinale dal settembre 1912. L'organico era composto da 44 ufficiali, 23 sottufficiali e 278 militari di truppa. Al comandante, tra l'altro, veniva delegato "l'acquisto, collaudo e riparazione del materiale", che si aggiungevano alle vastissime problematiche che si ponevano per il nuovo organismo, per il quale non vi era nessuna precedenza esperienza. In forza vi erano 41 Bleriot, 10 Farman, 17 Niueport e altri 12 aerei di modelli diversi.

E' interessante notare come Douhet, che fece dell'aviazione la sua ragione di vita, non sentì il bisogno di acquisire il brevetto di pilota, cosa che non lo avrebbe messo in una situazione di inferiorità nei confronti dei suoi dipendenti o offerto spazio a critiche dei suoi oppositori. Di certo nell'avvenire tutti i comandanti di reparti aerei saranno piloti. Nell'esercizio del comando si oppose fermamente ai voli acrobatici, con una circolare del novembre 1913 ove parla di: "Manovre altrettanto pericolose quanto inutili ai fini dell'aviazione militare". Fu in questo periodo che redasse le "Norme per l'impiego degli aerei in guerra", primo regolamento dell'aviazione italiana. In seguito lamentò che ogni qual volta scriveva la parola arma, rifacendosi all'aviazione, la stessa veniva cancellata dallo stato maggiore.

Nel successivo dicembre, dopo aver superato due inchieste amministrative, fu sollevato dall'incarico avendo, contro l'ordine dell'Ispettorato dell'aeronautica, autorizzato la costruzione del prototipo del Caproni Ca. 300, un trimotore bombardiere caratterizzato da due fusoliere con motori Gnome all'estremità anteriore, mentre l'equipaggio era sistemato al centro della carlinga, munita nella parte posteriore del terzo motore. Va aggiunto che l'aereo nel corso della guerra dimostrò le sue capacità. La destituzione fu un colpo gravissimo che gli provocò un grave esaurimento nervoso. Vanamente scrive al ministro della Guerra, al Comando supremo, l'ambito incarico non gli venne riaffidato.

Nell'agosto 1914 inizia la collaborazione alla torinese Gazzetta del popolo sotto lo pseudonimo di "Spectator" con una lunga serie di commenti alle operazioni belliche che durò, con 156 articoli, fino al 26 marzo 1915. Il 7 agosto, la guerra è iniziata da pochi giorni, sagacemente sosteneva trattarsi di: "[…] una guerra che finirà per esaurimento, per stanchezza, per ribellioni di genti […] è illusione sperare che abbia una risoluzione rapida; inevitabilmente essa sarà lunga perché non potrà finire che con l'esaurimento di una delle parti". Va ricordato che all'inizio del conflitto governi, stati maggiori e pubblica opinione erano convinti che per Natale la guerra sarebbe finita. Il successivo 13 settembre dichiara: "[…] la guerra era perduta nel momento in cui fu dichiarata, checché avvenga è perduta per gli Imperi Centrali", a seguito dell'esaurimento della potenza tedesca causata dal blocco navale dell'Intesa.

Nell'inverno 1914-1915 tiene sei conferenze presso l'Università popolare di Torino raccolte in un volume sotto il titolo L'arte della guerra. Raccolta di sei conferenze tenute all'Università popolare di Torino 1914-1915, nel quale riassume la dottrina militare dell'epoca e ribadisce con forza il ruolo futuro dell'aviazione: "[…] l'armata dell'aria è nata ieri ed essendo nata ieri è ancora in fasce, ma crescerà". All'inizio del 1915 si mise a rapporto col generale Cadorna per illustrargli le sue idee sull'organizzazione aerea, ma ci voleva altro per scalfire il bagaglio culturale del tetragono generale piemontese.

Per lumeggiare il personaggio, occorre riportare un brano della "Relazioni della commissione parlamentare d'inchiesta per le spese di guerra" del 1923: "E' poi bene soggiungere, a riprova delle difficoltà di ottenere stanziamenti, che ogni resistenza corrispondeva al poco o nessun conto che della aeronautica si faceva da parte dello stesso Comando di Stato Maggiore, il cui capo nelle istruzioni riservatissime emanate per la preparazione dell'Esercito, e contenute in un grosso fascicolo con dettagliate istruzioni per tutti gli Enti e i corpi militari, aveva all'aeronautica dedicato meno di una mezza pagina!".

Promosso colonnello all'inizio del conflitto, ebbe nel 1916 la non gradita carica di capo di stato maggiore del XII corpo d'armata che operava nella Carnia; invano aveva chiesto, appellandosi ad amici altolocati e facendo pressioni su parlamentari, sottosegretari e ministri, la nomina a direttore generale d'aviazione. Inasprito dai rifiuti, si rivolse al ministro Bissolati inviandogli numerosi memoriali di aspre critiche sulla conduzione delle operazioni da parte del generalissimo Cadorna. Arrestato il 16 settembre 1916, giudicato dal Tribunale di Codroipo per "divulgazione di segreti militari", fu condannato nell'ottobre a un anno di reclusione militare che scontò per intero a Fenestrelle e subito dopo collocato a riposo d'autorità.

Nel periodo di detenzione scrisse una satira politica L'onorevole che non poté più mentire. Racconto dei tempi ante-guerra, poi pubblicata nel 1921. Nel 1919, scrittore fertilissimo, scrisse Come finì la grande guerra in cui fa una apocalittica descrizione della fine delle ostilità a seguito di violenti bombardamenti portati sulle grandi città tedesche: "Cominciavano a morire per asfissia coloro che non ancora non erano morti per gli effetti degli scoppi e degli incendi".

Questo volume è uno spartiacque nell'attività letteraria di Douhet. La guerra aerea entra in forma rafforzata nel suo immaginario, diventerà la sua unica ragione di vita. Raccontò la sua odissea nel Diario critico di guerra (1915-1916) pubblicato nel 1921, con violentissime critiche al generale Cadorna. Segno dei tempi, delle sue vicissitudini giudiziarie non vi è traccia nella Enciclopedia militare edita nel 1934: "Nel 1917 lasciò il servizio attivo permanente. Divenne magg. generale nel 1917 e generale di divis. in A.R.Q. nel 1923".

Quando Diaz assunse il comando supremo, fu richiamato in servizio nel gennaio 1918 e nominato Direttore centrale presso il Commissariato generale dell'aeronautica presso il ministero delle Armi e munizioni. Il successivo 4 giugno presentò le sue dimissioni, deluso per la mancata accettazione dei suoi grandiosi progetti e concluse con il grado di colonnello la sua carriera. Il Ministero gli conferì il grado di generale di brigata con effetto retroattivo dal 1917. Nell'aprile 1919 fonda un settimanale Il Dovere nel quale si dedicò a questioni militari non confinate alle teorie aeronautiche, che gli aumentarono il numero dei nemici dai quali era circondato. Si batté con virulenza affinché fossero accertate le responsabilità della rotta di Caporetto. Scrive: "L'Italia ha il diritto di conoscere esattamente lo svolgimento dell'immane tragedia".

Nel 1923 finalmente sembra giunta la sua ora. Mussolini lo nomina Commissario per l'aviazione nel suo primo gabinetto, ma si scontra contro fortissimi poteri e ne esce sconfitto. Amareggiato osserva: "Venni completamente messo da parte". Torna allora alla posizione in cui più si riconosce, quella del polemista di razza e continua nella sua battaglia a colpi di articoli giornalistici, anche dalle colonne del fascista Popolo d'Italia, sempre formalmente esaltato, sempre più solo.

Douhet fu uno scrittore poliedrico, la sua attività letteraria spaziò in tutti i campi. Anche se gli studi di carattere militare furono i principali, scrisse articoli e opere scientifiche, commedie, autobiografie, sceneggiature per film, drammi. Il Dominio dell'aria scritto nel 1921 fu la sua opera base in cui esprime per la prima volta in forma globale, logica e completa il suo pensiero sulla guerra futura, seguito da una seconda e non ultima edizione del 1927, con l'aggiunta di una nuova parte, nella quale radicalizza notevolmente il suo pensiero alla luce del peso che l'arma azzurra aveva conseguito. Sono passati tre anni dalla fine della guerra, la memoria dell'immane carneficina è viva, vivissima in tutti i combattenti che per quattro anni sono stati sprofondati nelle trincee; mitragliatrici e filo spinato hanno negato ogni possibilità alla guerra di movimento. L'aviazione è agli esordi, guardata con sufficienza dagli apparati militari che la considerano una componente della panoplia delle armi a disposizione.

L'opera è un'esaltazione dell'aviazione e una minaccia per gli eserciti e le marine del mondo. I tradizionali assetti ed equilibri delle forze armate vengono messi in discussione, automatica scatta l'autodifesa corporativista. Occorre sintetizzare il suo pensiero, che svolge con stile incalzante, riportandone qualche brano: "Attualmente abbiamo la piena coscienza dell'importanza del dominio del mare; ma non meno importante sarà tra breve la conquista del dominio dell'aria […] l'Esercito e la Marina non devono vedere negli aerei dei mezzi ausiliari capaci di essere utili in certe determinate circostanze, no: Esercito e Marina devono vedere negli aerei il nascere di un terzo fratello più giovane ma non meno importante nella grande famiglia guerresca […] Conquistare il dominio dell'aria vuol dire vincere […] Per assicurare la difesa nazionale è necessario e sufficiente mettersi nelle condizioni di conquistare, in caso di conflitto, il dominio dell'aria […] Il dominio dell'aria non può venire conquistato che da una adeguata forza aerea. […] Le forze terrestri e marittime hanno finora dominato, ed il loro dominio era incontrastato: lo spazio era precluso all'uomo.[…] le armi dell'aria sono destinate a predominare su quelle terrestri e marittime […] Tendere alla progressiva diminuzione delle forze terrestri e marittime e al progressivo accrescimento delle forze atte alla conquista del dominio dell'aria. […] La vittoria arride a chi precede le trasformazioni delle forme della guerra, non a chi si adatta alle trasformazioni stesse. […] La nuova forma della guerra, esaltando all'estremo i vantaggi dell'offensiva, produrrà inevitabilmente una rapidissima decisione dei conflitti armati".

Con la premessa che le forze militari che gli Stati potevano schierare erano in stretto rapporto con le risorse finanziarie, sosteneva che andava privilegiata fra le tre armi l'aeronautica, costituita in forza indipendente, in grado di risolvere più rapidamente il futuro conflitto e ad essa andavano assegnate la maggior parte delle risorse disponibili a scapito dell'esercito e della marina da ridurre progressivamente in applicazione del concetto divenuto famoso: "resistere alla superficie e fare massa nell'aria". Il bombardamento terroristico contro la popolazione civile era l'obiettivo primario della guerra, ed era l'aviazione, "arma offensiva per eccellenza", che doveva assumersi questo ruolo. "Il bombardamento deve distruggere completamente il bersaglio preso di mira […] senza lasciare scampo alcuno".

Senza nessuna remora morale, Douhet insisteva nel binomio aviazione-gas: "perché è puerile illudersi: tutte le restrizioni che accordi internazionali potranno stabilire in tempo di pace, circa i mezzi leciti di guerra, risulteranno sempre, all'atto pratico, completamente vane, chi si batte per la vita o per la morte - ed oggi non ci si può battere altrimenti- ha il sacrosante diritto di non limitare i suoi mezzi di azione. Le restrizioni non rappresentano che atti di ipocrisia e di demagogia internazionale […] Perciò l'arma venefica appunto per la sua terribile efficacia, sarà largamente impiegata nelle guerre future". Era l'arma offensiva per eccellenza, unico, rapido mezzo per risolvere i futuri conflitti. Corollario di questo assunto era "il dominio dell'aria", ossia la capacità di chiudere il cielo, di impedire al nemico l'uso della sua forza aerea che andava distrutta preventivamente.

A conclusione della sua opera il teorico casertano affermava apoditticamente: "[…] ho la sicurezza matematica - e mi si perdoni l'immodestia - che l'avvenire non può smentirmi: che la guerra nell'aria costituirà l'essenziale dei futuri conflitti e che, di conseguenza, non solamente l'importanza dell'Arma Aerea andrà rapidamente crescendo, ma, corrispondentemente andrà rapidamente decrescendo l'importanza degli eserciti e delle marine".

Succintamente il pensiero di Douhet si può così riassumere. Il bombardiere, l'arma dell'avvenire, risolutore della prossima guerra. Sua missione il bombardamento in massa delle città nemiche sulle quali doveva portare la massima distruzione anche a mezzo della guerra chimica. L'arma aerea doveva essere indipendente e ad essa dovevano essere assegnate la massima parte delle risorse disponibili. La scorta ai bombardieri doveva essere affidata a un nuovo tipo di aereo, l'aereo da battaglia, il quale, oltre ad opporsi alla caccia, doveva portare: "una certa quantità di armi offensive contro la superficie". La caccia e le difese a terra non avevano nessuna possibilità di fronteggiare la minaccia. Douhet, a cui va riconosciuto il titolo di padre del bombardamento terroristico, eufemisticamente definito bombardamento strategico, non era il solo a proporre questa teoria, ma fu l'unico, prima ancora della Grande Guerra, a comprendere le mutazioni che avrebbe portato l'aviazione.

L'originalità del suo pensiero consiste nella chiarezza con cui espone il principio dello spostamento del baricentro della guerra dai confini all'interno del paese, dai soldati ai cittadini, avendo per obiettivo assoluto il "dominio dell'aria" che solo poteva dare la vittoria definitiva. Era quindi necessario: "esercitare il massimo sforzo, sia pure transigendo sulle potenzialità dell'Esercito e della Marina, per crearsi una potenza aera che ci metta nelle migliori condizioni, in caso di conflitto, per conquistare il domino dell'aria", con la conseguente capacità di portare la guerra nel territorio nemico. E' risoluto nel sostenere che l'aviazione è decisiva. Percepisce che delle tre missioni specifiche, osservazione, caccia e bombardamento, solo la terza può incidere. L'osservazione può essere di aiuto, maggiore o minore, alle forze terrestri o navali, la caccia è solo un duello tra eroici cavalieri alati e conserva un romanticismo che il tempo cancellerà. Il bombardiere, che nel corso del primo conflitto mondiale si è affacciato su grandi città come Londra e Parigi, è l'avvenire, l'arma che porta la distruzione dal campo di battaglia alle retrovie, ai trasporti, alle fabbriche di armamenti, alle città, alle donne e ai bambini.

Nel giugno 1924 richiede a Mussolini: "l'onore di dedicare le mie forze al riassetto della nostra Aeronautica", ma le cose non cambiarono, ritornò sulla richiesta nel marzo dell'anno successivo ma senza successo. Datandolo Giugno 1925 pubblica uno studio su La difesa nazionale. Considerazioni di ordine generale presso G. Berlutti - Editore - Roma senza indicazione della data di stampa. Scrive che: "Non esistono armi umane e inumani. Esistono armi efficaci e non efficaci […] La pietà non può fare la sua comparsa che finita la lotta". Ribadisce: "la necessità della costituzione di un Ministero unico della Difesa Nazionale e del Comando unico, necessità cui l'on. Mussolini, col suo geniale istinto di tutte le necessità nazionali, sta provvedendo nel modo più completo e definitivo". Rapporta la guerra passata a quella dell'avvenire alla luce dell'imponente fenomeno della "meccanizzazione" e dell'arma aerea di cui elenca caratteristiche possibilità e che: "[…] fornisce la possibilità di recare offesa al nemico indipendentemente da tutto ciò che può accadere sulla superficie e cioè oltre le linee di forza giacenti sulla medesima". Insiste sulla micidiale potenza del binomio "aereo-gas", descrive ancora una volta il terrore delle popolazioni, sostiene che: "adoperare l'artiglieria contro gli aerei [è] come l'andare a caccia di rondini con un fucile a palla", insiste sul "dominio dell'aria", ripetendo considerazioni già svolte in passato e che ripeterà nel futuro. Va precisato che i rituali omaggi al futuro fondatore dell'impero erano indispensabili per gli scrittori e non solo politici e che tutti gli autori dell'epoca, tra cui molti futuri antifascisti, si dovetter, più o meno a malincuore, piegare.

Nel 1925 fonda un settimanale, La Difesa nazionale con il sottotitolo Organo di difesa di tutti gli interessi nazionali nel quale precisa che: "al principio si limiterà alla trattazione dei problemi militari, ma, man mano, estenderà il suo campo alla difesa di tutti gli interessi nazionali". Farinacci, all'epoca segretario generale del Partito nazionale fascista in data nove giugno dà il suo placet: "[…] mi piace e sono sicuro che sotto la Tua direzione, raggiungerà il suo nobile intento, contribuendo a mettere in chiara luce tutti i problemi della nostra difesa". Il settimanale non ebbe fortuna, in seguito il filosofo Giovanni Gentile ospiterà un suo primo scritto Per la diffusione della cultura bellica sulla rivista Educazione politica che si aprì alla collaborazione del generale.

Nello stesso anno e nello stesso mese, Douhet è di una produttività straordinaria, scrive Sintesi critica della grande guerra nel quale fa una breve disanima della guerra passata ricordando alcune previsioni fatte in tempi non sospetti. Passava poi a valutare lo stato maggiore italiano che, come quello francese, proclamava in istruzioni ufficiali che il perfezionamento delle armi da fuoco aveva avvantaggiato l'offensiva a spese della difensiva. Aggiungeva che lo stato maggiore italiano nel maggio 1915 aveva stabilito in istruzioni ufficiali che: "[…] il carattere delle nostre eventuali operazioni e la natura e la configurazione del terreno fanno ritenere improbabile che le nostre truppe debbano ricorrere a siffatti procedimenti [guerra di trincea] salvo che, eccezionalmente sopra estensioni piuttosto limitate della fronte". Continuando nella sua demolizione dello stato maggiore ossia di Cadorna, aggiungeva che la circolare L'addestramento tattico, distribuita nel maggio 1915, non era il frutto dell'esperienza di nove mesi di guerra ma: "ristampa di una istruzione compilata dieci anni prima e che era stata esperimentata in manovra". Amaramente osservava: " La gerarchia militare costituisce una specie di piramide nella quale - per necessità di cose - la verità non può scendere che dal vertice verso la base". Concludeva il suo lavoro, datandolo Roma luglio 1925, senza nessun riferimento alla guerra aerea, sostenendo che occorreva per prima cosa: "[…] creare al più presto lo sbarramento di casa nostra" per poi: "[...] costituire l'ariete adatto a spezzare lo sbarramento avversario".

Nel 1927 è la volta di Probabili aspetti della guerra futura nel quale attaccò violentemente i ministri della Guerra che si erano succeduti, il Consiglio dell'esercito che aveva acconsentito: "[…] all'opera di sfacelo perseguita dai Ministri" e degli stati maggiori che: "[…] non costituiscono che l'alta burocrazia degli organismi militari, burocrazia che presenta, acuti, i difetti comuni a tutte le burocrazie: indolenza, orrore di ogni progresso, tradizionalismo, amore di quieto vivere, indifferenza e formalismo".

Nello stesso anno inizia la sua collaborazione a Le Forze armate, Echi e commenti e alla Rivista aeronautica che durerà fino alla sua prossima morte. Nel numero dell'aprile 1928 acutamente osservava in merito a una dottrina unica interforze: "Esistono competenti di guerra terrestre, competenti di guerra marittima e competenti di guerra aerea: non esistono competenti di guerra. E la guerra è una, come uno è lo scopo". Di particolare importanza appare "Riepilogando" del novembre 1929, sembra quasi un riepilogo della sua vita, perché la morte lo coglie di lì a poco a Roma il 14 febbraio 1930. Al suo nome verrà dedicata una piazza nel quartiere EUR a Roma e una via a Caserta. Il suo busto troneggia nel parco della Scuola di guerra aerea di Firenze. Espressione degli equivoci attraverso cui si svolse la sua vita, sulla targa romana viene indicato come "generale d'aeronautica", mentre era generale dell'esercito.

Dopo la sua morte la Rivista aeronautica pubblica La guerra del 19.. un'opera di futurismo militare, di gran moda negli anni Trenta, nella quale prospetta un conflitto tra Germania da una parte e Francia e Belgio dall'altra, conclusosi con la vittoria della prima che, con l'aviazione, porta le potenze alleate ad arrendersi dopo solo tre giorni di guerra, a seguito di una grande offensiva aerea che trasforma le città in "bracieri ardenti e inavvicinabili". La paura, il terrore dei bombardamenti terroristici trovarono un campo fertile nell'opinione pubblica dei paesi europei. Nell'assenza di dati certi e esperimentati, "brochures panique", ossia lavori pseudo scientifici, fiction, opere popolari esposero negli anni fra le due guerre mondiali scenari apocalittici, estrapolando in modo erroneo i risultati dei bombardamenti del primo conflitto mondiale sulle città europee, con città in preda al terrore ridotte a novelle Pompei, cataste di morti per gas nelle vie e nelle case, rivolte popolari, governi che si affrettavano a chiedere la pace. Si calcolò il numero di aeroplani e di bombe chimiche per distruggere città come Parigi o Londra. Douhet riporta che: "Si afferma che oggi, mediante 50-100 tonnellate di materiali venefici è possibile avvolgere in un atmosfera mortale città grandi come Londra o Parigi". Aggiungeva che: "l'aereo integrato col veleno fornisce il mezzo di creare - indipendentemente dalla situazione degli eserciti e delle armate agenti sulla superfice - offese di un ordine di grandezza non ancora sospettato". Nel passato queste pubblicazioni estremamente diffuse avevano l'obiettivo di attivare le opinioni pubbliche su immaginari pericoli che comportavano l'urgenza di nuovi fondi a determinate armi. A solo titolo di esempio vanno ricordate le numerose pubblicazioni di fine Ottocento che vaticinavano uno sbarco francese sulle coste italiane o tedesco su quelle inglesi.

In Germania, Polonia, Unione Sovietica, Francia, Jugoslavia furono create organizzazioni statali per la difesa e la Croce Rossa Internazionale in numerosi convegni studiò gli effetti dei gas tossici. In un ribollire di idee sempre estremizzate, governi, movimenti, gruppi e partiti politici, opinioni pubbliche, intellettuali e vaste schiere di pacifisti si mossero per scongiurare quella che fu definita la "grande paura". Hitler afferrò subito le possibilità che la minaccia aerea gli offriva e la stampa tedesca evidenziò il terrore che l'arma poteva scatenare sui cieli di Francia. La Società delle Nazioni si mosse per scongiurare il pericolo, le conferenze si susseguirono, si discettò a lungo e nella massima confusione su che cosa s'intendesse per obiettivo militare, il problema era complicato dall'esistenza di un'aviazione commerciale che, a detta di esperti, poteva rapidamente trasformarsi in un'arma bellica. Nel novembre 1931 si arrivò ad avanzare l'idea della soppressione dell'aviazione da bombardamento con la conseguente internaziolizzazione dell'aeronautica civile.

In Francia, ove il pericolo della guerra aerea era associato alla Germania che dal 1922 era stata autorizzata a riprendere la produzione di aerei civili, grande successo di divulgazione ebbe Le danger aérien et l'avenir du pays saggio del tenente colonnello Vauthier scritto nel 1930 con la prefazione del prestigioso generale Lyautey, creatore e presidente del Comité français de propagande aéronautique. La "Grand peur" era cavalcata dall'aeronautica e dalle lobby aeronautiche che sostenevano che non ci si poteva privare di mezzi di ritorsione. Scesero in campo il maresciallo Foch che ammoniva a prevedere e studiare la guerra chimica se non si voleva trovarsi di fronte a "quelque redoutable surprise" e il generale Weygand, suo braccio destro, il quale dichiarò: "La chimica e l'aviazione sono divenute i due più terribili cavalieri dell'Apocalisse". Si arrivava al comico quando il generale Debeney, all'epoca direttore dell'École supérieure de guerre, tranquillizzava l'opinione pubblica sostenendo che ci si poteva difendere creando: "une sphère d'air toxique d'un kilomètre tout autour".

Vittime dei primi assaggi della guerra aerea furono i Cinesi, gli Etiopici e gli Spagnoli. Guernica, capolavoro di Picasso, è ancora oggi una parola dal sinistro significato.

La teoria del dominio aereo aprì un dibattito a tutto campo nel mondo militare con forzature e strali polemici tra panegiristi e detrattori, innestando la difesa dello spirito di corpo e preoccupazioni inespresse per i riflessi che si potevano avere sulla ripartizione dei bilanci militari. Furono accolte con straordinario entusiasmo negli ambienti aviatori e nelle industrie ad essi legati che vedevano con favore l'emancipazione dell'arma aerea e il grande spazio che si creava per le carriere e per la produzione industriale. Rifiutate in toto degli apparati dell'esercito e della marina che non accettavano la diminuzione degli organici, del peso, dell'importanza delle due forze.

Gli oppositori furono una falange, di spessore diverso e ad essi Douhet tenne testa gagliardamente con formidabile vis polemica non ignorandoli mai, replicando colpo su colpo. Di grandissima asprezza furono gli scontri con l'aviatore Angelo Mecozzi che quest'ultimo spesso faceva scadere ad attacchi personali. Lo scetticismo nei confronti delle possibilità dell'Arma azzurra era tale che nel 1926 il generale dell'esercito Vacchetti, nella stesura della relazione al bilancio dell'aeronautica sostenne: "Non ostante i progressi tecnici preconizzati, non è provata la capacità degli aerei di risolvere la guerra affrontando qualsiasi situazione in sostituzione dell'Esercito e della Marina. La soluzione aerea della guerra rimane anzi un sogno di fantasia". A chi come il generale Giuseppe Valle, futuro comandante della Regia aeronautica, in un articolo pubblicato nella Rivista marittima del luglio-agosto 1928 Meditazioni sulla guerra aerea definiva: "ignobile e fraudolenta" la guerra aereo-chimica rispondeva: "E perciò l'offesa, rapida, violenta, terrificante, essenzialmente rivolta contro le parti più delicate, più sensibili più vulnerabili del nemico è quella che risolve la guerra col minimo danno per l'umanità. E' quindi la più umana e la più civile […] Certo io considero lecito e eziando meritorio il lanciare bombe venefiche contro un centro abitato non per il sadico piacere di massacrare i suoi abitanti, ma perché quel lancio determina un danno materiale e morale di alto rendimento in ordine al raggiungimento della vittoria". A questo proposito va ricordato che ancora negli anni sessanta, nell'epoca del più conclamato pacifismo, nell'avversione totale e assoluta alla guerra, Giorgio Rochat, storico affermato, recensendo il libro di David Irving Apocalisse a Dresda. I bombardamenti del febbraio 1945 osservava: "Il bombardamento terroristico era accettabile quanto qualsiasi altra arma, sopra tutto quanto ne fosse provata la terribile efficacia".

Sarà il generale Francesco Pricolo, successore di Valle, a ribadire i concetti di quella che nel dopoguerra chiamerà la "cosiddetta dottrina del generale Douhet" e criticherà aspramente. Nel 1932 grintosamente scriverà: "L'arma efficace della flotta aerea è il terrore […] Bisogna immediatamente gettare il terrore tra le popolazioni avversarie […] per sottoporla a un incubo insostenibile che costringa alla resa: Si griderà alle barbarie, alla violenza sul diritto delle genti, ma non bisogna lasciarsi impressionare".

Tra gli oppositori il colonnello Bastico, futuro nominale comandante di Rommel sul fronte libico, nel terzo volume de L'evoluzione dell'arte della guerra. La guerra del futuro sensatamente osservava: "In fatto di impiego dei nuovi mezzi di lotta e in particolare dell'arma aerea e di quella chimica […] l'importanza di tali mezzi e la capitale influenza che essi avranno sul modo di condurre la guerra sono da noi pienamente riconosciute: […] siamo però ben lontani da coloro che predicano avvenimenti catastrofici tali da mutare radicalmente tutto ciò che della guerra è parte o dalla guerra deriva […]". Ritornerà sull'argomento nel 1929 da generale di brigata con l'articolo Del tutto e delle proporzioni delle parti ove sostiene essere necessario "il proporzionamento armonico delle tre componenti".

Ma fu un aviatore, Amedeo Mecozzi, che Italo Balbo, unitamente a De Pinedo, Nobile e Guidoni, definì "i chiodi della mia croce", il suo più fiero oppositore. Mecozzi, romano di umilissime origini, nella Grande Guerra da soldato semplice era transitato nel servizio aeronautico diventando ufficiale aviatore e asso della caccia. Nel dopoguerra si batté per un'aeronautica indipendente, ma senza la supremazia assoluta voluta da Douhet, formulando la teoria dell'aviazione d'assalto, destinata a intervenire sui campi di battaglia, in contrasto con i bombardamenti in profondità. Gli attacchi dovevano essere portati contro obiettivi scelti, condotti a bassissima quota, in cooperazione con le forze terrestri. Quando lo Stuka dimostrò le capacità dell'aviazione d'assalto, nessuno lo ricordò e l'ufficiale romano concluse la carriera con la nomina a generale di brigata aerea e il trasferimento in Somalia, sperduto comando periferico. Ferruccio Botti lo definì icasticamente: "Capo senza partigiani, condottiero senza discepoli e profeta senza fedeli" e, in effetti, le sue teorie furono appena tollerate negli ambienti aviatori italiani.

Fu una polemica, iniziata il 21 dicembre 1921 con "Fra programmi e programmi aeronautici" e durata fino alla morte di Douhet ed oltre, ed è interessante notare che fu l'unica di un certo "calore" tra appartenenti alla stessa Arma. Nell'articolo sostiene tra l'altro l'assurdità: "[…] di abolire tutto, dirigibili, aviazione da caccia, antiaerei, eccetera, a vantaggio dell'aviazione da bombardamento, che potrà con una fulminea azione all'inizio delle ostilità, distruggere i campi, i rifornimenti, i veicoli nemici, e così sgombrare il cielo", concludendo con un significativo "Detto fatto". L'opposizione fu acra e puntigliosa, lo accusò di avere mutuato le sue teorie da quelle del francese Clément Ader, non risparmiando l'uomo accusato di "fuga dal fronte" per il suo rifiuto di comandare una brigata in guerra e di non essere in grado di valutare le problematiche dell'arma non avendo mai pilotato un aereo. Contrapponeva l'essere "pilota da caccia" al "colonnello di stato maggiore dell'esercito". Lo accusò di essere stato il massimo fautore della "guerra agli inermi", volta allo sterminio delle popolazioni civili. A suo merito va però la precisazione che fa in Per la guerra nell'aria pubblicato in Echi e commenti del 15 maggio 1928: "Sento il dovere di chiarire che le mie obiezioni alle teorie del generale Douhet non investono punto le Sue affermazioni che l'Arma aerea abbia grande influenza in una guerra futura, ma riguardano mezzi e metodi per ottenere tale grande influenza". Dal 1924 pubblica tutta una serie di articoli sulla Rivista aeronautica, Le Forze armate e Echi e commenti, rivista quest'ultima che, pur non essendo militare, rappresenta una miniera di informazioni sul periodo tra le due guerre mondiali. Polemicamente aveva dedicato la sua opera maggiore Guerra agli inermi e aviazione d'assalto scritta nel secondo dopoguerra: "Agli equipaggi dell'aviazione da bombardamento di qualsiasi paese che nel rischio e nel sacrificio personale compirono azioni terroristiche per una obbedienza sempre doverosa ma ad ordini dei quali è urgente che la coscienza dei popoli e dei governi respinga ogni giustificazione".

Un uomo simile a Douhet, l'americano William Mitchell si batteva nel nuovo continente nello stesso periodo per l'aeronautica. A 33 anni, il più giovane ufficiale di stato maggiore dell'esercito americano, fu comandante del servizio aeronautico sul fronte francese nel primo conflitto mondiale. Come Douhet, aveva un carattere non facile, intollerante con chi non condivideva le sue idee, come Douhet fu un convinto fautore del potere aereo, il risultato fu, come per Douhet, un grande numero di nemici. Da più parti si sostiene che ne sia stato influenzato, ma il suo più accreditato biografo lo esclude nettamente. Nel 1921, dopo roventi lotte con l'esercito, al quale l'U.S. Army air service apparteneva, ottenne dal Congresso, nella sorda opposizione della Marina, che gli venissero messe a disposizione navi tedesche di preda bellica. Fa da cavia la corazzata tedesca Ostfriesland contro la quale vengono lanciate il 20 luglio una serie di bombe senza esito. Il giorno successivo sette bombardieri Martin armati con una bomba da 910 chilogrammi l'affondano centrandola con cinque bombe. In precedenza il ministro della Marina aveva dichiarato che sarebbe rimasto tranquillamente sul ponte della nave durante l'attacco. Per fortuna sua e della sua famiglia la cosa non avvenne. Nel grande clamore suscitato, la Marina oppose che le corazzate erano all'ancora non in condizioni di difendersi e che in condizioni reali di guerra i risultati ottenuti negli esperimenti non sarebbero stati raggiunti. Il futuro avrebbe invece dimostrato che le corazzate all'ancora, americane a Pearl Harbour, italiane a Taranto, o in navigazione, inglese Prince of Wales e nipponica Yamato non avevano possibilità di sopravvivenza contro forze aeree attaccanti.

Nello stesso anno Mitchell scrisse Our air force: the keystone of national defense nel quale raccomandava la creazione di una forza da bombardamento strategico indipendente. All'unisono con Douhet, sosteneva che l'aviazione da bombardamento avrebbe ridotto con la sua potenza la durata del conflitto, ma non calcò sul bombardamento terroristico in un paese nel quale il militarismo all'epoca aveva pochissimo spazio. Sollevato dal comando, fu relegato dalle alte autorità del l'U.S. Army air service in un comando periferico nel lontano Texas. Tornò nuovamente alla ribalta, prendendo appiglio dalla caduta accidentale di due dirigibili, lanciando roventi accuse contro le alte gerarchie che lo misero sotto accusa e lo fecero condannare a una sospensione per cinque anni. Nello stesso periodo scrisse Winged defense nel quale affermò categoricamente che l'aeronautica doveva costituire l'elemento essenziale della difesa del paese e che le guerre future sarebbero state dominate da quest'arma: "Per conseguenza è un metodo interamente nuovo di portare la guerra a distanza che si va imponendo. Abbiamo visto che una potenza aerea superiore dominerà tutte le regioni marittime quando partirà da basi terrestri e che nessuna nave che porti o no aerei sarà in grado di mettere in pericolo la superiorità aerea". Logico postulato era la sostituzione della marina nella difesa del continente americano. Tra i "profeti" dell'epoca fu l'unico a sostenere che la caccia doveva fiancheggiare i bombardieri nella loro azione. Fu a seguito della sua opera che l'aviazione, battezzata Army air corps, ebbe uno statuto autonomo. Nella seconda guerra mondiale tutti gli ufficiali superiori dell'arma erano imbevuti delle sue idee e nelle sue memorie il generale Arnold, comandante dell'U.S. Army Air Forces, gli rende omaggio.

Negli anni Trenta per il teorico italiano si manifestò un vasto interesse internazionale.

In Francia venne alla ribalta alla fine degli anni venti e la sua opera fu commentata su testate come la Revue maritime, l'ufficiale Revue du ministère de l'Air, la Revue militaire e altre tra cui il settimanale Les Ailes che dal 1931 al 1933 riportava analisi e critiche. La doctrine du général Douhet del 1935, opera del colonnello Vauthier suo accanito estimatore, fu onorata da una prefazione dell'oracolo nazionale il maresciallo di Francia Pétain che sottolineava: "Non trattiamo alla leggera o di utopismo un uomo che sarà più tardi considerato come un Precursore". Aggiungeva che gli scritti di Douhet costituivano: "una fonte inesauribile di riflessioni. La docrine redoutable qu'il a édifiée peut influer de façon décisive sur les évenements de demain. […] Di tutti i grandi dottrinari del dopo guerra è il solo ad avere stabilito un sistema che sia solidamente incardinato nell'insieme e così preciso nei dettagli". Va aggiunto però che queste autorevoli parole non portarono a cambiamenti nella dottrina militare francese. Le polemiche che si svilupparono vanno anche inserite nel clima di lotta acre che l'aeronautica militare combatteva per assurgere ad arma autonoma che portarono infine, alla data del primo aprile 1933, alla creazione del Ministère de l'Air e a meno miseri stanziamenti di bilancio.

Nel 1933 il Chief of the Air Corps, generale Benjamin D. Foulois, trasmise copie di un articolo di Douhet al Chairman dell'U.S. House of Representatives Comittee on military affairs definendolo "una eccellente esposizione di alcuni principi della guerra aerea". Nel 1942 tutta la sua opera fu pubblicata negli Stati Uniti col titolo Command of the air. Nel 1983 Il dominio dell'aria avrà una nuova edizione con la prefazione del capo di stato maggiore dell'U.S. Force. Il suo pensiero formerà oggetto di numerosi articoli su riviste specializzate e nel nome del teorico italiano l'Aeronautica degli Stati Uniti istituì il trofeo Douhet-Mitchell per i migliori studenti dei war colleges.

Nell'Unione Sovietica, l'influenza del generale italiano fu variamente considerata, anche per una forma di nazionalismo diffusa in tutti i paesi, che nega ogni apporto dall'estero; secondo Fuller, i futuri ufficiali erano invitati a studiare Clausewitz e Douhet. Di certo il bombardamento strategico fu al centro della "Istruzione provvisoria per le azioni indipendenti delle forze aeree dell'Armata rossa degli operai e dei contadini" e ad esso fu assegnato il 40% dei mezzi aerei. Sulla carta le squadriglie di bombardamento strategico rappresentavano alla metà degli anni Trenta la più potente forza aerea del mondo. Sei anni dopo sarebbe stata spazzata dai cieli. Aprendo un inciso, chi scrive si è a volte chiesto se gli impiegati degli uffici postali o delle pompe funebri, si sentissero fuori posto nell'esercito "degli operai e dei contadini".

In Spagna sulla rivista Aérea nell'articolo Si vis pacem para bellum scritto nel 1930 il maggiore Balbàs lo cita due volte. Alla sua morte nella stessa rivista il maggiore Manzaneque scrive nell'epitaffio funebre: "Il suo genio prodigioso non era confinato nella guerra aerea".

In Germania Il Dominio dell'aria apparve nel 1935 col titolo Luftherrschaft ad opera dell'aeronautica militare, ma il generale Milch, mente pensante della Luftwaffe, segnava nel suo diario alla data del 22 ottobre 1933 di averlo letto. Nel 1936 apparve Der luftkrieg di Robert Knauss ispirato alle teorie del pensatore italiano. Goering e i capi aeronautici non diedero però all'aviazione strategica il dovuto peso, come i Sovietici si riteneva che missione primaria dell'aeronautica fosse il fiancheggiamento delle forze terrestri. Questo errore gravissimo venne in evidenza durante la "Battaglia d'Inghilterra" quando la Luftwaffe dimostrò i suoi limiti d'azione.

In Svezia l'aeronautica fu costituita in arma indipendente nel 1925, due anni dopo Douhet fu citato dal comandante delle forze aeree nell'annuale indirizzo alla Reale accademia di scienze militari.

Un articolo di Douhet del 1927 aveva trattato il problema della difesa della Gran Bretagna sostenendo che per la sua posizione era indifesa contro attacchi nemici e, unica soluzione, la formazione di una forza aerea di bombardieri pesanti, ma l'articolo non aveva avuto nessuna eco. Va evidenziata però la spocchia con la quale l'establishment britannico guardava e guarda all'Italia, terra di poeti ed artisti e non di guerrieri. Gli storici britannici esclusero ogni influenza sulla dottrina del bombardamento strategico che, considerata una creazione britannica, rappresentò la base della difesa nazionale. Fu Frederick Sykes, primo capo di stato maggiore dell'aeronautica nel 1918, passerà l'anno successivo all'aviazione civile, a gettare le base della dottrina. Con una singolare somiglianza con Douhet, a un anno dalla comparsa de Il dominio dell'aria scrisse nel 1922: "[…] avanzerà sul territorio nemico e distruggerà le sue industrie, i suoi centri nervosi, il suo sistema di rifornimenti e scuoterà nel suo insieme il morale della nazione. Questa nuova, formidabile forma di guerra diventerà più terribile con nuovi mezzi di distruzione, come l'impiego delle armi chimiche e batteriologiche sui centri industriali e politici". Suo erede e continuatore sarà il maresciallo Trenchard, definito "padre della R.A.F." che, in un rapporto del 1921 "Il ruolo dell'armata aerea nel sistema di difesa imperiale", sostenne gli stessi principi di Douhet e di Mitchell, svalutando le corazzate e dando un maggior peso all'arma aeronautica. Tra i compiti più onerosi di "Boom", così soprannominato per le sue collere proverbiali, fu la strenua difesa contro gli attacchi delle due armi sorelle, sotto la protezione di Winston Churchill, uno dei capi più dotati per le problematiche militari. Per inciso sarà sempre una vezzosa caratteristica britannica affibbiare soprannomi ai capi di maggior peso.

Va riconosciuto ai dirigenti politici del paese la capacità di afferrare con rapidità le tematiche svolte da Trenchard che portarono al potenziamento dei bombardieri. Samuel Hoare, segretario di Stato per l'aeronautica, fece proprie le preoccupazioni del Parlamento: "Entrata in guerra come potenza insulare e invulnerabile, la Gran Bretagna ne è uscita con la sua capitale aperta agli attacchi nemici". Non era l'unico. Un pragmatico uomo politico, il premier Stanley Baldwin, il 10 novembre 1932 ai Comuni si esprimeva gelidamente: "Qualunque cosa si dica i bombardieri passeranno sempre. L'unica difesa è l'offesa. Il che significa che dovrete uccidere donne e bambini più velocemente del nemico, se vorrete salvarvi". Entrambi, pur non essendo militari, afferravano che i bombardieri sarebbero arrivati e che andavano fermati nelle loro basi e nelle loro officine. I due più influenti studiosi di cose militari Fuller e Liddell Hart erano dello stesso avviso. Fu così che nel luglio 1923 furono costituiti 52 squadroni, di cui i due terzi destinati al bombardamento. In assonanza con Douhet, Trenchard avanzò la proposta di abolire gli aerei della caccia, ma, per fortuna del suo paese, non vi fu seguito. Va aggiunto che la sua proposta di affidare alle squadriglie della Royal air force il controllo dell'impero ebbe successo. Il mezzo aereo per la rapidità d'intervento era particolarmente adatto a colpire assembramenti di ribelli.

La dottrina maturata negli anni venti era in linea con i canoni douethiani quando considerava la classe operaia nemica come l'anello più debole, vulnerabile a una campagna avente per oggetto non solo la distruzione delle metropoli ma l'uccisione degli abitanti. Va aggiunto che tra questi principi e i mezzi a disposizione esisteva un abisso. Ironia della sorte i principi douhetiani ebbero la massima applicazione nel corso della seconda guerra mondiale non da parte della mussoliniana Regia aeronautica ma dalle aviazioni alleate che in massicce formazioni di quadrimotori, violarono i cieli del Tripartito.

Della figura del pensatore casertano, a giudizio di chi scrive, si è dato un quadro riduttivo, riducendolo all'ideatore del bombardamento strategico, elencando minuziosamente gli errori di valutazione che, quando la guerra aerea era ai primordi, aveva commesso. I detrattori gli rinfacciarono che l'aeronautica nella seconda guerra mondiale non era riuscita nella missione disposta da Roosevelt e Churchill nella Conferenza di Casablanca del gennaio 1943: "distruzione e disintegrazione del sistema militare, industriale ed economico tedesco, e abbassamento del morale del popolo germanico, fino al punto in cui la sia capacità di resistenza fosse fatalmente indebolita". Osservarono che non vi era stato il crollo del morale delle popolazioni, che non aveva valutato la potenza dell'aviazione da caccia e della difesa contraerea, mancava poco che gli si addebitasse anche il non aver previsto il radar!

Con un pensiero puramente ipotetico ci si potrebbe chiedere che cosa sarebbe avvenuto se bombardamenti terroristici dell'intensità di quelli patiti dalle città germaniche e giapponesi fossero stati portati contro l'Italia o la Francia. Gli estimatori sostenevano che le città tedesche e giapponesi, erano state messe a ferro e fuoco, "strappandone le viscere", che le capacità produttive erano state di gran lunga ridotte, che dai fronti di guerra erano stati distolti ingenti forze aeree e numerosissimi reparti di artiglieria contraerea. Si sostenne che nella Battaglia d'Inghilterra la Luftwaffe era stata sconfitta perché non aveva applicato il principio del dominio dell'aria non continuando nell'obiettivo di distruzione degli impianti aeroportuali con conseguente eliminazione della R.A.F.

Ma Giulio Douhet non fu solo il teorico del bombardamento terroristico, ma il propugnatore del comando unico interforze che comportava, con il coordinamento di tutte le forze armate e dell'interno, un'unica dottrina di guerra interforze, sulla quale ancora oggi si discute, con l'abolizione di quella terrestre e navale, il primo a parlare di guerra integrale estesa a tutta la nazione, con la popolazione soggetto e obiettivo del conflitto, il primo a parlare di un'aeronautica indipendente, il primo a parlare della necessità di raggiungere il dominio dell'aria, di cui, classici esempi, furono le campagne in Occidente dopo lo sbarco in Normandia e d'Italia. Ancora affermò che il potere navale, detenuto dalle grandi corazzate, era ormai al tramonto con l'avvento di aerei e sommergibili, e si batté contro i sogni di grandezza della Regia Marina che, con potenti squadre navali, voleva addirittura portare la guerra in Atlantico, non riuscendo neppure a chiudere, nel non lontano conflitto, il Mare nostrum.

Come succede nei confronti dei "profeti", la denigrazione e l'esaltazione fu quasi sempre acritica e faziosa. Lo storico Lee Kennett lo definì "il teorico della potenza aerea più conosciuto ma il meno compreso", il che si può riferire anche a Clausewitz, il colonnello statunitense John Shiner ancora nel 1986 scriveva: "Questo primo approccio generale alla guerra aerea ha sempre per noi un grandissimo valore". Angelo Gatti nel 1923, a proposito della sparuta pattuglia di pensatori italiani che si batterono per un nuovo esercito, scriveva: "Le verità che guidano l'avvenire, sono state da essi giustamente osservate". Di certo le sue battaglie diedero una scossa agli ambienti militari, non solo italiani, che, sognando il ritorno all'anteguerra, stendevano dotti studi sulle future missioni della cavalleria, senza percepire che mitragliatrice, carro armato, sommergibile e aereo avevano provocato, dopo l'invenzione della polvere da sparo, la seconda rivoluzione militare.

Giulio Douhet, tra i molti pensatori militari degli anni fra le due guerre mondiali, fu l'unico le cui teorie non furono obliate, la sua figura si affaccia nel panorama strategico, con il riaccendersi delle querelles tra estimatori e detrattori, provocate da nuovi conflitti. I primi portarono più esempi. Classico fu il bombardamento atomico sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki che portò il governo a chiedere immediatamente la resa incondizionata.

Nella guerra dei Sei giorni (5/10 giugno 1967) l'aeronautica israeliana distrusse a terra in una sola mattinata 286 dei 340 velivoli egiziani, aprendo la strada al Blitzkrieg dei carri armati nel Sinai, in quello che si dimostrò il più massiccio attacco di corazzati dalla seconda guerra mondiale. Nella guerra del Golfo l'aviazione alleata in 43 giorni di attacchi devastanti disarticolò i sistemi di comando e controllo delle strutture dell'esercito, dopo aver cancellato dai cieli l'aeronautica del dittatore iracheno. Edward N. Luttwak affermò che la giustezza delle teorie di Douhet era stata confermata dallo svolgimento delle operazioni.

Gli oppositori sostenevano che il potere aereo era stato influente ma non risolutivo, che l'aviazione da sola non aveva mai vinta una guerra e che solo il fante armato di fucile occupa il territorio e pianta la bandiera. Dall'altra parte si sbandierava che nella "operazione di pace" nel Kosovo, i Serbi furono costretti a battere in ritirata senza interventi terrestri. L'operazione delle aeronautiche della NATO, iniziata con 300 aerei e portata a termine con 1300 in 78 giorni, non mise in crisi la coscienza pacifista dell'Europa, fortificata dall'aver resistito, con sportiva imparzialità, a anni di stermini balcanici. Del nostro continente Raymond Aron osservava: "Gli Europei vorrebbero uscire dalla storia, quella scritta a lettere di sangue".

Douhet resta vivo nelle sue concezioni e riflessioni. Anticipa i tempi e vede in grande.

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Articolo di Emilio Bonaiti pubblicato grazie all'autorizzazione dell'autore