Già alla Conferenza di Teheran, tenutasi tra il 28 novembre ed il 1 dicembre del 1943, Churchill, Roosevelt e Stalin discussero, tra le altre cose, di due possibili operazioni che erano possibili lanciare dall’Italia in concomitanza con lo sbarco Alleato in Normandia: sbarcare delle truppe nel sud della Francia o nei Balcani.

Da una parte Stalin si oppose all’ipotesi di sbarco nei Balcani, che considerava una sua zona di influenza, preferendo uno sbarco nel sud della Francia; dall’altra parte Churchill riteneva che sarebbe stato meglio per gli Alleati usare tali risolse nel teatro di operazioni Italiano.

In alternativa era favorevole ad uno sbarco per togliere ai tedeschi i campi petroliferi nei Balcani e prevenire l’avanzata dell’Armata Rossa arrivando in una posizione di maggior potere al tavolo di negoziazione per l’assetto dell’Europa nel dopo guerra. Nonostante le insistenze del generale Marshall, capo di Stato Maggiore dell’esercito statunitense, Roosevelt ritenne l’operazione impercorribile e la cancellò.

Subito dopo lo sbarco in Normandia il progetto venne attuato e, tenendo presente le obbiezioni di Stalin alla Conferenza di Teheran e la contrarietà del generale Eisenhower a distogliere forze consistenti verso i Balcani, Roosevelt praticamente impose a Churchill lo sbarco nel sud della Francia. Churchill, noto per la sua testardaggine, non abbandonò mai l’idea di contrastare in ogni modo l’avanzata dell’Armata Rossa nei Balcani e verso l’Austria e la conseguente influenza sovietica che ne sarebbe derivata in quei territori. Anche durante i combattimenti sulla Linea Gotica la sua strategia, per perseguire la quale spronava costantemente i comandanti dell’8a Armata britannica schierata nell’Appennino orientale, era, una volta sfondate le linee tedesche, di dirigersi e attraversare velocemente il fiume Po, puntare a nord e raggiungere Trieste ed il varco di Lubiana per attraversarlo il più presto possibile.

Il piano di attacco alla Linea Gotica vide la sua prima stesura da parte del generale John Harding Capo di Stato Maggiore del Generale Harold Alexander, comandante delle armate alleate in Italia. Il 28 giugno 1944 lo Staff dell’8a Armata suggeriva tre direttive d’attacco: la A nel settore adriatico, la B sulla direttrice Firenze-Bologna e la C in un settore intermedio. Elencando tutti i vantaggi e svantaggi di ognuna venne indicato il piano B come il migliore. Per il generale Oliver Leese la perdita di 7 divisioni, destinate all’Operazione Dragon era stata un brutto colpo e considerando che la partenza del Corpo di spedizione francese avrebbe ulteriormente indebolito la 5a Armata si convinse che sarebbe stato impossibile sfondare con i mezzi corazzati le difese tedesche a nord di Firenze e, infine, considerato che a lui stesso, comandante dell’8a Armata britannica, non piaceva combattere a fianco del generale Mark Clark, comandante della 5a Armata statunitense, dopo che quest’ultimo aveva escluso gli inglesi dall’entrata a Roma suggerì un nuovo piano: l’Operazione Olive che prevedeva un attacco principale sulla costa adriatica da parte dell’8a Armata appoggiato da un attacco, ritardato di alcuni giorni e con preavviso di 24 ore, della 5a Armata statunitense sulla direttiva Firenze-Bologna.

Agli inizi di marzo del 1945, mentre l’8a Armata risaliva faticosamente la Romagna lungo la via Emilia e poco prima dell’offensiva generale di primavera del 14 aprile, il generale Mark Clark, che era subentrato il 12 dicembre del 1944 al generale Harold Alexander nel comando delle forze alleate in Italia, ne adottò lo stile: aveva notato che il grosso delle difese tedesche era concentrato a sud ed est del fiume Reno che, dirigendosi a nord verso Bologna e piegando verso la costa adriatica, formava una sacca dopo essere penetrato in profondità nella valle del Po. Con l'Operazione Olive sostanzialmente pianificò di attaccare con il II° Corpo d’Armata lungo la direttrice a est del fiume dai passi del Giogo e della Futa verso Imola ma facendo si che la spinta principale fosse portata a ovest del fiume Reno, e quindi di Bologna, dal IV° Corpo d’Armata, composto dalla 10a Divisione da montagna coadiuvata dalla 1a Divisione di fanteria brasiliana che si trovavano su una linea di partenza ottimale.

Una volta fuori dalle montagne, dopo avere cercato di distruggere le divisioni tedesche incontrate, la strada verso il Po non avrebbe presentato particolari ostacoli. Una volta raggiunta la via Emilia, nella Pianura Padana, le divisioni della 5a Armata, ora comandata dal generale Lucian Truscott, avrebbero incalzato da vicino la ritirata dei soldati tedeschi dagli Appennini, prima che potessero riorganizzarsi a difesa sulle rive del fiume Po, tagliando contemporaneamente la ritirata di ciò che rimaneva delle divisioni tedesche provenienti da est, inseguite dall’8° Armata britannica, che sarebbero così rimaste intrappolate, impedendo loro di attestarsi sulla linea di difesa del fiume Adige, prima, ed infine sulle montagne del nord est delle Alpi, verso l’Austria, dove avrebbero potuto tricerarsi a difesa del confine Sud della Germania dopo avere distrutto le risorse industriali nella Pianura Padana.

Dal punto di vista tedesco Adolf Hitler aveva ordinato al generale Kesselring prima e, in seguito, al subentrato generale Heinrich Von Vietinghoff, di rallentare il più possibile l’avanzata alleata sulla penisola italiana, in attesa che divenissero operative le nuove armi, i missili V1 e V2 nonché l’ME262 il primo aereo con motori a reazione della storia, che gli scienziati del Terzo Reich avevano sviluppato in Germania. Hitler era convinto che le nuove armi avrebbero capovolto le sorti del conflitto. Inoltre l’apparato industriale ed agricolo del nord Italia doveva continuare a rifornire la Germania e la sua guerra. Kesselring svolse il suo compito con efficienza teutonica adottando la tattica della difesa elastica che costò agli Alleati tempo e uomini, ai civili stragi e distruzioni materiali.

Il più grande rete di difese sul territorio italiano, con cui dovettero misurarsi gli Alleati, venne chiamata dai tedeschi Linea Gotica (Gotenstellung) che, all’avvicinarsi degli eserciti Alleati, venne rinominata Linea Verde (Grüne Linie) da Kesselring nel giugno del 1944.

Approntate dall’Organizzazione Todt, le difese si estendevano per 320 km negli Appennini settentrionali dalla valle del fiume Magra, alcuni chilometri a sud della città di La Spezia, e attraversavano i massicci strategici del passo di Vernio, a nord di Prato, del passo della Futa, a nord di Firenze, lungo la valle del fiume Foglia, sino ai declivi sul mare Adriatico tra Pesaro e Cattolica.

Tatticamente le poderose difese si estendevano anche in profondità per circa una ventina di chilometri tanto che le due principali linee di resistenza furono definite Linea Gotica (Linea Verde) I e II. Sino al fronte sull’Arno la 5a Armata statunitense e l’8a Armata britannica avanzarono entrambe sul corridoio tirrenico. Verso la metà di Agosto, in linea con i piani dell’Operazione Olive, l’8a Armata britannica fu trasferita segretamente dal fronte tirrenico al fronte adriatico.

All’inizio dell’attacco alla Linea Gotica:

- L’8a Armata britannica poteva contare su un forza di circa 410.000 uomini suddivisi in 61.000 polacchi del 2° Corpo Polacco, 53.500 canadesi del I° Corpo Canadese, 117.000 inglesi ed indiani del V° Corpo d’Armata britannico, 40.000 neozelandesi, 38.500 anglo-indiani del X° Corpo ed altri 100.000 soldati incluso la 209a e 228a Divisione italiane ausiliari.
- La 5a Armata americana, sul fronte dell’Appennino Tosco-Emiliano, aveva in forze: il II° Corpo d’Armata (34a, 88a e 91a Divisioni di fanteria statunitensi); il IV Corpo d’Armata statunitense di circa 171.000 uomini (la 1a Divisione corazzata americana, la 6a Divisione corazzata Sud Africana, 1a Divisione di fanteria brasiliana (F.E.B.), la 92a Divisione di fanteria negra americana - in arrivo - e la 45a Task Force americana) la 210a Divisione ausiliaria italiana e diverse brigate partigiane oltre alle quattro divisioni del XIII Corpo inglese, per un totale di circa 300.000 uomini. In seguito, nel gennaio del 1945 arrivò in linea anche la 10a Divisione da montagna americana. Punti deboli erano la 92a Divisione e le truppe del corpo di spedizione brasiliano considerate prive di esperienza e non efficaci negli attacchi come ebbe ad ammettere il Generale Mascarenhas de Morais, comandante della Força Expedicionária Brasileira (F.E.B.) al generale Mark Clark.

In campo tedesco verso la fine di agosto del 1944 il generale Albert Kesselring, al comando del Gruppo di Armate C, poteva disporre di 13 divisioni in linea, di cui la 10a Armata comandata dal generale Heinrich Von Vietinghoff e la 14a Armata comandata dal generale Joachim Lemelsen, con una forza di 12.700 soldati cadauna per un totale di circa 98.800 uomini combattenti e 66.300 addetti ai servizi. La riserva era costituita da 7 divisioni. In totale la Linea Gotica era difesa da 339.000 uomini di cui 180.000 combattenti e 159.000 addetti ai servizi.
In definitiva gli Alleati potevano contare su una superiorità numerica a cui si aggiungeva una superiorità schiacciante in mezzi, cannoni, navi, carri armati e aerei. Un grande supporto alle operazioni venne dato dall’onnipresente aviazione alleata.
Le forze partigiane, nell’estate del 1944, ammontavano tra i 50.000 uomini secondo un censimento di Ferruccio Parri (responsabile dell’organizzazione politico-amministrativa della resistenza) e i 70.000 uomini secondo Giorgio Bocca. In Emilia-Romagna erano presenti: l’8a Brigata Garibaldi “Romagna” comandata da “Pietro” (Ilario Tabarri), la 28a Brigata Garibaldi “Gordini” di Ravenna comandata da “Bardi” anche se agli ordini effettivi di “Bullow” (Arrigo Boldrini), la 36a Brigata “Bianconcini” comandata da “Bob” (Luigi Tinti) sul Santerno, la Stella Rossa comandata da “Lupo” (Mario Musolesi) tra i fiumi Setta e Reno e la “Modena” comandata da Armando (Mario Ricci).
Gli Alleati non si fidavano molto di queste formazioni di guerriglieri.
I timori di una “seconda Grecia” aleggiavano nell’aria; a metà ottobre del 1944 gli inglesi rimasero coinvolti in una guerra civile tra i partigiani dell’ELAS e il governo guidato da Georgios Papandreu. Il ruolo dei partigiani italiani era considerato certamente importante e gli Alleati sapevano che avrebbero dato il loro contributo anche nell’offensiva finale. Ma con la guerra che ormai volgeva al termine gli Alleati volevano che questo aiuto fosse accuratamente tenuto sotto controllo. Appena i partigiani esaurirono i loro compiti furono disarmati anche perché il pensiero di migliaia di partigiani armati fino ai denti che si muovevano per le città del nord Italia dichiarando che la rivoluzione era alle porte era una prospettiva che agli Alleati e l’amministrazione militare d’occupazione non avevano nemmeno il coraggio di prendere in considerazione e, quali che fossero le probabilità, era un rischio che non intendevano correre. Il pensiero di domare una eventuale insurrezione armata dopo la lunga e sanguinosa campagna contro Germania e la R.S.I. non era piacevole.
Dall’estate del 1944 le azioni partigiane iniziarono a creare problemi ai tedeschi che subirono, in due mesi, 5.000 morti e tra i 7.000 e 25.000 feriti a seconda delle fonti. La lotta antipartigiana fu effettuata principalmente dai soldati della R.S.I. i cui effettivi, a settembre del 1944, secondo l’OKW tedesco, assommavano a circa 498.000 uomini tra esercito (143.000), Marina (26.000), Aereonautica (79.000), SS italiane (10.000) tra cui la 29a SS Granatieri Italiani, volontari nei reparti tedeschi (90.000) e nella G.N.R. (150.000) tra cui la Divisione “Etna”. Tra le formazioni più in vista che combatterono con i tedeschi: sul fronte adriatico il Battaglione Lupo della X Mas e le Legioni ‘M’ Guardia del Duce e Tagliamento oltre all’8° Bersaglieri Manara; sul fronte tirrenico l’Armata Liguria, comandata dal Maresciallo Rodolfo Graziani, era composta dalla 3a Divisione di Marina S.Marco, la 4a Divisione Alpina Monterosa e la 1a Divisione Bersaglieri Italia tutte addestrate in Germania.