Inedito sulla strage di Marzabotto. E' [stata] la prima organica documentazione sull'eccidio raccolta dalla Signora Romagnoli-Toffoletto per il Cardinale Nasalli Rocca nell'agosto-settembre1945. Il dattiloscritto è stato consegnato nel settembre 1964 al giornalista Sergio Soglia dalla maestra di asilo Antonietta Benni scampata al massacro nell'oratorio di Cerpiano.

Cor Jesus adveniat Regnum Tuum
Eminenza Reverendissima,
Aderendo ben volentieri al desiderio espressomi dall’E.V. espongo quanto so sugli eccidi e sulle distruzioni delle due Parrocchie di San Martino e Casaglia di Caprara ed  in particolare della Frazione di Cerpiano dove noi eravamo sfollati fino dal luglio 1943 nel cosiddetto “Palazzo “ o meglio nella casa delle Figlie di Sant'Angela che vi avevano riaperto nell’autunno 1944 l'asilo infantile.

 Fin dal gennaio 1944 in tutta la zona alta delle due Parrocchie ricordate comparvero i così detti  “ribelli “, i partigiani che via via andarono crescendo di numero alle dipendenze di Mario Musolesi dello il  “Lupo“ comandante la Brigata “Stella Rossa “. Noi vedevamo passare questi giovani da lontano e di sera perchè in un primo tempo essi stessi evitano di mostrarsi alla popolazione.

Gradatamente le loro fila si ingrossarono ed in molte case si cominciano ad incontrare dei gruppi, perché si accampavano alla meglio nei fienilie nelle stalle. I contadini facevano loro da mangiare e si capì ben presto che la loro organizzazione andava perfezionandosi.

Posso dire che i tre degni sacerdoti che venivano a celebrare la Santa Messa nella nostra Cappellina di Carpiano (e che furono tutti e tre barbaramente trucidati dai tedeschi) si preoccuparono subito dell'assistenza di questi giovani ben persuasi che fosse doveroso aiutarli e sostenerli in tutti i modi, malgrado le minacce e le diffide che ognuno di essi andava ricevendo.Si parlava con insistenza di castighi e di rappresaglie imminenti allo scadere del 25 Maggio (estremo limite per la presentazione degli “sbandati “al governo repubblicano fascista).

Due dolorose e sanguinose scaramucce fra i fascistie partigiani a Gardelletta, rese note anche dalla stampa, avevano già acceso gli animi che si rivelarono molto eccitati. l primi bombardamenti di Vado il 18 e 19 maggio 1944 avevano annullato la vita di questo centro; l'installazione di poderosi cannoni tedeschi antiaerei sul versante opposto (Monzuno), avvenuta il 16 e 27 maggio faceva presentire qualcosa di molto grave.

Il 28 maggio, solennità di Pentecoste, fummo svegliati alle 5 del mattino da tremende cannonate che per tre ore consecutive pareva dovessero buttar giù il nostro versante. Dovemmo rifugiarci tutti in cantina. Cessato il cannone cominciò il crepitio delle mitragliatrici e un correre di partigiani da un posto all'altro di vedetta: ci dissero che i tedeschi stavano tentando di salire da vari punti. Intanto numerose formazioni dibombardieri, arrivati all'improvviso in ausilio dei partigiani, bombardarono tutto intorno nei due versanti, rendendo ancor più tragica la situazione, mentre da quattro parti i cannoni antiaerei tedeschi sparavano a tutto spiano: qualcosa di apocalittico !

Il giovane Parroco di San Martino ed economo spirituale di Casaglia, Don Ubaldo Marchioni non poté venire a celebrare la Santa Messa a Casaglia.

Verso mezzogiorno imparammo che i tedeschi erano stati respinti dai partigiani, malgrado la sproporzione di forze e di mezzi.

Un particolare che V.E. potrà ben valutare,uno dei partigiani andò subito dal sacerdote per far celebrare una Santa Messa in ringraziamento della vittoria conseguita. L’angoscia della popolazione per altro cresceva a dismisura anche perché si vedevano a Villa d'lgnano delle case che bruciavano.

Il lunedì 29 alle 5 del mattino la musica del cannone cominciò a deliziarci come nel giorno precedente; vennero a comunicarci in gran segreto che i partigiani nella notte erano dovuti partire per concentrarsi a Grizzana e noi avemmo subito la sensazione di essere rimasti in balia dei tedeschi. Nel pomeriggio i più strani ordini portati dall'uno  e dall'altro aumentarono le preoccupazioni. Non si sapeva più che cosa fare: c'era chi pensava di andarsene; c'era chi temeva rappresaglie maggiori contro le case chiuse e disabitate: c'era chi si illudeva con un ottimismo eccessivo. Quasi tutti però cominciaro a mettere in salvo qualche cosa. Che spet­tacolo quella strana processione di gente che, piangendo, portava nel bosco a seppellire quanto aveva di più caro e di utile !

La cantinta del "Palazzo" era diventata il rifugio di tutti e di tutto. In un vano si era fatto, con dei materassi, un gran letto per mettere a dormire tutti i bimbi di Cerpiano (e allora non erano pochi) perchè si diceva che il cannone la notte avrebbe buttato giù tutte le case. Il martedì mattina alle 5 dopo una notte molto tribolata, ecco per qualche ora la solita musica del can­none mentre si vedevano più vicini e più frequenti gli incendi dell case. Capimmo che stavano arrivando le SS perchè vedevamo i razzi incendiari con cui si facevano precedere e sentivamo sempre più vicini i colpi di fucile mitragliatore. Che fare? Con la buona maestra dell'asilo, Antonietta Benni figlia di Sant'Angela, dopo aver radunati davanti a Gesù Sacramento nella CappelIa del "Palazzo" bimbi e adulti, decidemmo di racco­gliere tutti i bambini nell'asilo come se fosse una giornata normale di scuola e i genitori accanto a loro cone per assisterli. Poco dopo infatti i soldati delle SS ca­landosi a precipizio dai monti con urla e colpi impressionanti, con l'aspetto di cani segugi alla ricerca di una preda, entrarono nel "Palazzo" proprio dall'uscio dell'asilo rimanendo un pò interdetti di fronte a tanti bimbi. Ci fecero uscire tutti, esigendo sgarbatamente i documenti: qualcuno di essi entrò poi in casa per la perquisizione. chiedendo insistentemente se avevamo armi e partigiani nascosti. Dopo oltre un'ora di sosta. finalmente se ne andarono e noi credemmo di potere cantare il nostro "Magnificant" anche perchè si era riusciti ad evitare la perquisizione nelle case dei contadini di Cerpiano; ma ecco un'altra squadra ben più numerosa di SS ancor più sgarbati e più duri, piombare in casa per un'altra perquisizione a base di urla e di minacce, di colpi di fucile contro i mobili e le porte che non si aprivano prontamente. Partiti anche questi da Cerpiano, ci rendemmo conto che qualcosa del genere era stato fatto in tutte le case.

I tedeschi rimasero per cinque guiorni a continuare e a ripetere le perquisizioni, bruciando ancora qualche casa o fienile, ma sopratutto continuando la loro sistema­tica rapina del bestiame di ogni genere. Abbiamo visto poi nella valle attraversare il Setta colonne di animali preceduti e scortati da fascisti repubblicani o da tedeschi.

Lasciando la zona dopo cinque giorni, i tedeschi non mancarono di fare pressanti raccomandazioni e minacce per il caso previsto di un ritomo in quei luoghi dei partigiani. Ciò avvenne infatti nell'agosto successivo con un crescendo impressionante. La popolazione, peraltro, si riteneva sicura che i tedeschi non avrebbero osato di affontare i partigiani temuti, che parevano molto armati. Prova ne sia che molta popolazione di Gardel­letta, Murate, La Quercia e anche di Vado, Rioveggio, ecc. per sfuggire ai continui bombardamenti, si erano rifugiati lassù e tutte le case erano rigurgitanti di gente. Alla fine di settembre, non si sa con quale scusa di rappresaglia, si sparge sui monti la terribile notizia che è imminente il promesso "rastrellamento". Il 29 settembre 1944, solennità di San Michele Arcangelo, co­minciano infarti a salire da ogni parte le belve umanate. Come mai hanno potuto penetrare nella zona? Resta un mistero. C'è chi parla di tradimento e di esatte informazioni fomite al nemico da un povero disgraziato che per qualche tempo era stato con i partigiani. Si diceva però che alle donne e ai bambini non avrebbero fatto nulla di male, ma che gli uomini di ogni età si nascondessero per l'amore di Dio !  E cosl è avvenuto che donne, vecchi e bambini sono rimasti soli e senza difesa, facile preda di belve umane a servizio di criminali.

Ecco alcune notizie precise di quel tragico giomo 29 settembre1944 e del successivo 30. Due povere spose con ciascuna quattro figli in tenera età hanno visto salire i tedeschi e scappano di casa ( la prima casa "Le Scope" che essi avrebbero incontrata ); ecco 10 vittime sacrificate! Si possono vedere nel viottolo che sale a Casaglia dalle Murazze con due rozze Croci di legno che ne ricordano i nomi, le due povere tombe preparate da uno dei due babbi alcuni giorni dopo. Egli ha composto in quella fossa, non solo la propria moglie e i quattro figli, ma anche la moglie e quattro dei cinque bambini di un amico, ben sapendo che il povero capo di questa famiglia, Gino Cincinnati, non avrebbe potuto compiere questo pietoso dovere: ferito gravemente, col suo quinto bambino, al fianco, fu ricoverato nella cantina della casa colonica di Cerpiano dove dovette essere abbandonato dalla vecchia mamma cacciatavi dai tedeschi. Dopo la liberazione è stato trovato morto in quella stessa cantina aggrappato a un legno in atteggiamento disperato; i tedeschi che avevano promesso di portarlo all'ospedale lo avevano lasciato là a morir di fame e di sofferenze.

A Cerpiano quel tragico venerdì 29 settembre Don Marchioni era atteso per celebrare la Santa Messa nell'Oratorio dedicato all'Angelo Custode. Ma la paura più folle aveva invaso tutti poiché i tedeschi stavano per arrivare. Qualcuno aveva suggerito di nascondersi nel rifugio del bosco, anzi il grosso della gente vi era.già; ma ecco che si dice essere imprudente lasciare una casa così grande abbandonata: “Ci verranno a cercare, ci crederanno tutti partigiani nascosti e ci uccideranno. ”Qualcuno resta, ma una cinquantina ritorna indietro seguendo il consiglio di chi ha più autorità e rifugiandosi nella cantina del “Palazzo ” dove abitualmente ci si riparava per le cannonate frequenti. Arrivano i tedeschi. Fanno salire queste 49 persone dalla cantina alla cappella attigua al “Palazzo”: sono 20 bambini, due vecchi quasi invalidi e 27 donne fra le quali tre maestre. Chiudono accuratamentele porte e poi...comincia il getto fatale delle bombe a mano. Sono le nove del mattino e 30 vittime sono immolate. Chi può ridire ciò che è passato fra quelle mura nella lunga giornata, nell'ancor più lunga notte e nella penosa mattinata del giorno 30? Siamo esattamente informati dall'unica persona adulta superstite: la buona Orsolina, maestra dell'asilo, Antonietta Benni,che per ben 33 ore ferita e sfinita, fingendosi morta è rimasta in quel sacro luogo fra morti e feriti, quasi volesse Iddio un testimonio oculare che potesse riferire simili stragi.

Feriti che si lamentavano invocando disperatamente aiuto; bimbi che piangevano, mamme che tentavano proteggerele creature superstiti. Una donna, Amelia Tossani, voleva fuggire ad ogni costo; aperta la porticina laterale è stata da un tedesco di guardia freddata sulla soglia, sicché il suo corpo è rimasto metà dentro e metà fuorie la notte maiali randagi ne hanno rosicchiato il capo fra l'orrore di chi, impotente, assisteva a tale spettacolo. Il povero vecchio Pietro Oleandri ha sentito una sua mucca muggire: non ne può più di stare in mezzo ai morti fra i quali c'è la buona sposa delsuo unico figlio prigioniero in Germania e due dei nipotini amatissimi. Prende per mano il terzo nipote superstite, di cinque anni e sta per uscire: una raffica .... un uomo e un bimbo sono neII'eternità! Una signora di Bologna, Nina Frabboni Fabris, da poco tempo sfollata lassù è rimasta ferita gravemente e si lamenta per ore ed ore con alte grida. Un tedesco di guardia, senza cuore, seccato di questo urlare, entra nella Cappellina e con un colpo di fucile uccide la disgraziata fra ìl terrore dei presenti superstiti.

Intanto nell'attigua casa i carnefici gozzovigliano: suonano l'armonium come fosse festa, mangiano ciò che trovano (per esempio centinaia di uova in calce), spargono a terra tutto ciò che non possono mangiare: grano, riso, fagioli cospargendolo di porcherie. Carte e libri e documenti ...tutto buttato all'aria con la frenesia dei vandali.

Ma le povere vittime della Chiesina non le abbandonano un minuto: hanno aperto un buco nella porta e di là sghignazzano sinistramente. Dopo 28 ore di questa terribile agonia, i 16 superstiti sentono la loro condanna: fra 20 minuti tutti "Kaput" e i fucili vengo caricati rumorosamente per poi scaricarsi poco dopo su quei poveretti ; altre 13 vittime ! E un cartello di legno è posto sulla porta di quella insolita comera mortuaria: "Questa è la sorte toccata ai favoreggiatori dei partigiani".

Oltre la maestra Antonietta Benni c'erano vivi anche due bimbi: Piretti Fernando di 8 anni e Rossi Paolo di 6 anni. Questa, rizzandosi a sedere e contemplando il terrificante spettacolo dice pensando di essere sola: "Tutti morti! la mia mamma! la mia zia! (la cara maestra Anita Serra) la mia nonna Rosina!  la mia nonna Giovanna!  il mio fratellino ... tutti morti! ".

Dopo una settima di vita tribolata nel "Palazzo" si sono visti ritornare i tedeschi, e hanno dovuto subire l'onta di gravissimi insulti, specialmente le poche e gio­vani superstiti, per poi essere definitivamente cacciati da Cerpiano, vagare di rifugio in rifugio, quasi senza mangiare, vestiti alla meglio e alle prese ancora con la minaccia di uccisione in massa da parte dei tedeschi. fino ad arrivare dopo quasi due mesi nella nostra città. Mentre a Cerpiano accadeva quanto sopra, il giorno 29 in tutte le borgate delle due Parrocchie di San Martino e Casaglia altri dolorosissimi episodi ed altri eccidi facevano di quella zona la terra dei morti.

A Caprara 55 persone (donne e bambini) venivano radunati in una stanza e uccisi con bombe a mano. Un bimbo e una donna di Villa d'lgnano buttatisi dalla fìnestra riuscirono a salvarsi, ma gli altri perirono tutti: forse qualcuno poteva essersi salvato, ma la ferocia tedesca ha le sue raffinatezze: venne dato fuoco allo stabile sicchè tutti i poveretti si trovarono bruciati.

Un episodio: fra questi si erano pure salvati buttandosi dalla finestra Vittorina Venturi di Caprara con la mamma Costanza che aveva in braccio la nipotina di tre anni (mentre altre tre sorelle e la mamma della piccina avevano trovato la morte in quella stanza ed una quarta sorella riuscita a scappare in quel giomo, morì dopo due mesi di atroci sofferenze per ferite di cannone al Casoncello). Vittorina fuggita a San Martino fu ripresa in quello stesso giorno dai tedeschi ed ivi trucidata; la mamma con la piccina dopo pochi giorni trovava la morte con una cannonata a Caprara di Sotto. Il capo di casa Venturi Gaetano, dopo aver in tal modo perduta la moglie, le quattro figliuole, la nuora e la nipotina ha avuto in questi giorni lo strazio di ritrovare in due diversi luoghi di San Martino i cadaveri ancora dissepolti dei due figliuoli che nel settembre erano stati rastrellati dai tedeschi: morti di fame ed entrambi senza un piede.

A San Martino di Caprara in Chiesa nello stesso giomo, 29 settembre, si erano rifugiate parecchie persone piangenti e angustiate. l tedeschi le fanno uscire uccidendole presso la casa del contadino e bruciando quella massa informe di 52 cadaveri (forse anche qualche ferito) cosparsi di benzina. Particolare straziante: qualche uomo, parente delle vittime, è stato obbligato o presenziare la macabra scena. Fra questi il padre di Don Marchioni che ha visto uccidere la moglie e la figliola. La famiglia Lorenzini ebbe così 15 morti e la famiglia Luccarini 8 (la madre e sette figliuoli) e tanti altri.

Ai Fornarini 18 persone furono tolte dal rifugio e trucidate in casa.

Alla Staccola altri morti tra i quali il vecchio Alfonso Tiviroli di 81 anni che è tuttora seppellito alla meglio vicino ad un pagliaio. Una nipotina di 10 anni, Gina, fintasi morta per ben tre giorni vagò sola nel bosco solto la pioggia senza mangiare, fu rintracciata dal pa­dre sfinita e sgomenta.

A San Giovanni ben 50 vittime trucidate in un rifugio. Fra essi la numerosa famiglia Fiori di ottimi cristiani: una figlia Suor Maria delle Maestre Pie di Bologna che in quell'epoca era a casa coi suoi cari, ha trovato con loro la più orribile delle morti. La nipotina di Suor Maria di sei anni era rimasta viva. Per tre giorni è stata dal cancello e scrutando l'orizzonte rientra e dice forte: "Se c'è qualcuno ancora vivo, scappi adesso che i te­deschi non ci sono più". Qualcuno infatti si alza più o meno faticosamente. La Lucia Sabbioni di anni 15 ferila in quattro o cinque parti del corpo, si sente bruciare dalla febbre, ma vuole scappare ad ogni costo. Ha in braccio il cadavere della sorellina e accanto a sè quello della mamma e di altri cinque fratellini. La Lidia Pirini che era sotto di lei e non poteva muoversi, prega la Lucia dimetterle addosso prima di partire il cadavere della sorellina che ha in braccio per essere riparata nel caso di altri colpi! Il dialogo che ci è stato riferito fa tanto pensare! La Lucia non sa come regolarsi perchè l'addolora il pensiero che ilcorpo della sua amata so­rellina possa venire straziato maggiormente, ma la compagna supplica... è viva, può salvarsi,è una grande ca­rità accontertarla! La Lucia non sta in piedi: due signorine sfollate dopo i bombardamenti da Vado a Gardellette e poi a Casaglia e rimaste quasi incolumi, la prendono solto le ascelle perchè essa glielo impone, tanto lo spasimo che ha di fuggire. Nell'uscire dal cimitero passando davanti al bimbo Tollelli la Lucia gli chiede: "Ma tu perchè non scappi?" E il bimbo, mo­strando la mamma e i cinque fratellini e le sorelle morti: "lo voglio morire con loro". Forse Gesù ha ascoltato il supplice grido di questo povero bimbo? Una granata lo ha colpito e ucciso poco dopo. Non sap­piamo se egli abbia seguito o preceduto i suoi cin.que fratelli che hanno subito la stessa sorte, mentre il povero padre dopo aver perduto in tal modo la moglie e gli undici figli, rastrellato dai tedeschi, mandato su e giù per i monti a portare viveri e munizioni, colpito da una granata perdeva un occhio e un braccio.

A quanti altri uomini è toccato questa sorte dolorosa!  La Lucia Sabbioni potrebbe raccontare altre vicende del drammatico giorno giù per il bosco: l'incontro con una pattuglia tedesca, la notte passata all'aperto sotto la pioggia tra ipiù terrificanti rumori; poi la lunga degenza all'ospedale San Luigi di Bologna.

Intanto lassù nel cimitero la Lidia Pirini di anni 16 as­sisteva ad altre dolorose scene. Nel pomeriggio di quel­ lo stesso giorno qualche uomo con circospezione ha fatto la sua comparsa per portare via qualche ferito, ma la povera Lidia non ha nessuno che si ricordi di lei!

Il cugino Giorgio era morto lì presso nel cimitero egli altri suoi congiunti erano a Cerpiano. Tutta la notte resta su quella tomba accanto ai morti e l'indomani, forse solo nel pomeriggio, raccolte le sue deboli forze riesce ad alzarsi malgrado la ferita alla gamba. Scende verso Cerpiano con la vana illusione di trovare qual­cuno dei suoi. E presa di mira da una pattuglia di tedeschi che spara. Buttandosi carponi per il bosco giun­ge finalmente a quel rifugio presso Cerpiano, dove impara la sorte tragica della sua mamma e di sua sorella. Solo dopo due giorni trova l'unico superstite, lo zio Filippo Pirini che ha perduto nell'Oratorio di Cerpiano la moglie e tutti i suoi sei figliuoli;  le vittime di casa Pirini sono14, quindici col babbo della Lidia, morto per la prima incursione su Vado.

Qualcuno dei morti dell'eccidio del 29 settembre e dei giorni seguenti, pare abbia avuto la benedizione di due Sacerdoti anch'essi uccisi poi barbaramente ai primi di ottobre: Don Giovanni Fornasini, Parroco di Sperticano (Marzabotto) e di Don Ferdinando Casagrande (Parroco da appena cinque mesi, di Gugliara, Quercia, Gar­delletta, Murazze, la nuova Parrocchia fondata dall'Eminenza Vostra).

Don Giovanni Fornasini, altro giovane ardente apostolo, era pure ben noto ai partigiani ed ai tedeschi. Che sia stato trucidato lassù a San Martino pochi giorni dopo il rastrellamento è ormai sicuro. Ci hanno detto che la sua angoscia per gli eccidi del 29 e 30 settembre era indicibile. Non sapeva capacitarsene, tanto più che il comando tedesco, al quale più volle era riuscito a strappare qualche vittima, pare gli avesse dato assicurazione che alle donne e ai bambini non sarebbe stato torto un capello. Sembra che egli avesse subito protestato al comando per tente barbare uccisioni di tanti innocenti e che l'ufficiale tedesco si fosse messo d'accordo con lui a Sperticano per averlo come guida in una specie di sopraluogo su a San Martino ed a Caprara. Si dice che giunto al cimitero di San Martino, Don Fornasin.i abbia mostrato al suo compagno con accorati commenti che i morti non erano certo uomini e tanto meno pa.r­tigiani. Il vile ufficiale con un colpo di rivoltella credette necessario sopprimere sul luogo il pericoloso testimone. La povera mamma di Don Fornasini, mentre nella canonica di Sperticano aspettava  trepidando il ritorno di suo figlio, ebbe dal medesimo cinico assassino la comunicazione che una granata nemica lo aveva ucciso per via. Il suo corpo è stato per sette mesi esposto alle intemperie accanto alla salma di un buon uomo di Caprara (Moschetti), ucciso in quello stesso giomo. l parrocchiani di Sperticano lo hanno devotamente sep­pellito nel luogo del suo martirio dopo la liberazione in attesa di dargli i dovuti suffragi nella sua Parrocchia.

Anche Don Ferdinando Casagrande è stato trucidato dai tedeschi. Ci eravamo illusi che fosse stato risparmiato e che avesse potuto passare il fronte, perchè dopo le tragiche giornate del 29 e del 30 settembre era stato visto ancora vivo. lnvece dopo la liberazione abbiamo saputo dal vecchio padre, unico superstite della famiglia, la dolorosa verità. Don Ferdinando nei tragici giorni era con la famiglia: padre, madre, tre sorelle e un fra­tello, in un rifugio ignorato dai tedeschi a San Martino. Ai primi di ottobre già pativano la fame nel loro nascondiglio. L'8 ottobre una delle sorelle uscita dal rifugio, rimase uccisa da un colpo di granata. Don Ferdinando, che si era rnantenuto sempre sereno e pieno di fiducia, decise allora di andare al vicino comando tedesco a chiedere un lasciapassare per sè e per la famiglia onde recarsi giù alla Quercia. La sorella Giulia (l'ottima maestra dell'asilo della Gardelletta) non volendo lasciarlo andar solo, lo accompagna. Poveri figlioli! Non son più tornati! lnvano genitori e fratelli aspettano in quel rifugio dove la morte ha già distese le sue ali! Il vecchio padre decide allora di partire di notte con i superstiti per tentare di passare il fronte. Ma dopo pochi passi una cannonata lo ferisce e gli uccide sotto gli occhi la moglie, l'unica figlia rimastagli e l'altro figliolo. Ferito deve abbandonare anche questi tre morti, giungendo giù alla Quercia in uno stato compassionevole. Dopo venti giomi di tribolazioni inaudite, riesce con un giovane a ritornare presso i cadaveri dei suoi tre cari che seppellisce nel bosco, riesce a rientrare nel rifugio per seppellirvi la prima figlia morta. Ha ancora un filo di speranza di rivedere il suo Don Ferdinando e la sua Giulia. Ma di essi nessuna traccia! Ritornato alla Quer­cia riesce a passare il fronte, viene curato dagli americani prima a Firenze, poi a Roma, sempre ignaro della sorte dei figli. Aspetta con ansia la liberazione e alla fine di aprile ritorna subito nel posto del suo dolore, ritrovando le salme del tre uccisi nel bosco, ma non può ricuperare quella della figlia seppellita nel rifugio, perchè questo è minato. Proprio in quei giomi anche la salma di Don Ferdinando è stata ritrovata e riconosciuta senza  possibilità di equivoco dopo sette mesi accanto a quella della buona sorella. La loro tragedia pare chiarissima. I tedeschi mostrando di accogliere l'istanza del buon Sacerdote gli promisero di andare a prelevare l'intera famiglia. Ma non appena i due fratelli ebbero fatti appena pochi passi nel sentiero che doveva ricondurli al rifugio, una fucilala alla nuca troncò quelle due preziose esistenze. Sono morti insieme quei due fratelli che insieme avevano lavorato per il bene di tante anime! Un'unica fossa riunisce ora le cinque salme nel cimitero di San Martino dove una targa di legno con una significativa iscrizione segnala la dolorosa ve­rità. Anche Don Ferdinando Casagrande era un degnis­simo Sacerdote che aveva dato alle anime tutte le sue rare qualità, ed energie e che nelle difficili circostanze in cui si trovava era riuscito ad aiutare chi veramente aveva bisogno del Ministro di Dio.

La dolorosa cronaca si completa con l'eccidio del rifugio di Cà di Biguzzi avvenuto il 5 Ottobre1944 (otto giorni dopo). 23 persone vi trovaro orrenda morte e il più doloroso si è che alcune di esse erano di quelle scampate alla tragedia di Casaglia e di Caprara. Tre famiglie di Gardelletta, due della Quercia, la famiglia Pedriali custode del casello ferroviario n. 67 che è appunto a Cà di Biguzzi (con tre bimbi di cui uno di sette mesi). Nove uomini vennero fatti uscire prima dal rifugio e condotti a lavorare dai tedeschi, mentre donne e bambi­ni venivano trucidati presso il ricovero. Dopo due ore di lavoro gli uomini furono derubati dai tedeschi del porta­foglio e di quanto potessero avere con sè. Messi poi in fila indiana furono fucilati alla schiena. Uno di essi, l'ottimo capomastro muratore Domenico Beni (fratello di quel Giovanni Betti ucciso nel campanile di Casaglia) ferito al collo si finse morto e potè in seguito scappare, riferendoci i particolari con l'amarezza di chi ha tutto perduto ed è rimasto solo al mondo.

Gli scampati di questa immane tragedia, quasi tutti uomini rastrellati dai tedeschi, esposti alle cannonate, sono venuti prima o poi a finire tutti a  Bologna. Ma non come gli altri profughi di Pianoro, Musiano, Liano, ecc. che la pubblica carità e la pietà cristiana dei bolo­gnesi ha accolto come fratelli sofferenti e bisognosi di cure. No; questi poveretti, storditi e angosciati dalle vicende subite, perseguitati dai fascisti repubblicani come gente che proveniva "dai luoghi politicamente infetti", "dal covo dei partigiani" hanno trovato ricovero di fortuna tra le macerie delle case bombardate di. Via Lame, Saffi, Galliera, vivendo quasi nascosti e sem­pre in sospetto. Vostra Eminenza ricorderà che furono rintracciati uno per uno dalla buona Orsolina maestra Antonietta Benni e riuniti ogni mese nell'Oratorio dei Guarini per una Santa Messa che Mons. Alfonso Brini celebrava in suffragio dei loro cari defunti, rivolgendo loro parole affettuose e paterne di aiuto. Era quella l'occasione per ritrovarsi tutti e per unire ipropri dolori nella preghiera, nel rimpianto delle persone strappate dolorosamente alla vita e nel pensiero delle case distrutte, dei campi rovinati. Ricorderà Vostra Eminenza che per la Santa Pasqua fatta loro fare in comune venne distribuita quella devota preghiera scritta appositamente per loro alla quale la Eminenza Vostra concesse 30 giomi d'indulgenza.

Venuta la liberazione si credette che potessero venire gioni migliori anche per questi poveretti. Ma che angoscia per tutti ritomare in quella zona desolata dove non si può muovere un passo fuori dalle strade (sentieri quasi impraticabili) senza incappare in una mina che squarcia! Che desolazione vedere tutte le case di­strutte, rase al suolo, gli alberi in gran parte squarciati e seccati, i campi incolti e minati.

Siamo ritornati anche noi l'8agosto 1945 e poichè l'E.V. lo desidera, diamo relazione di quanto abbiamo visto di persona.

La borgata delle Murazze è quasi distrutta, di case abitabili e in parte soltanto, ce ne sono solo due. La Cap­pellina è scoperchiata in un punto; la Madonna sull'Al­tare Maggiore è intatta; la Sagrestia è squarciata nella parete dove c'era l'ingresso esterno e tutto quello che era nella Cappella è stato distrutto compresi i paramenti e i vasi sacri.

Siamo saliti a Cerpiano dalla strada delle Murazze che è diventa una strada dì guerra. I soldati vi hanno dimorato per lunghi mesi, trasformandola in una vera e propria successione di ricoveri. Ad un'certo punto è interrotta da fitti rotoli di ferro spinato che l'occupano per tutta la larghezza. Mine, bombe a mano, fili e cavi di ogni genere, cassette di rnunizioni cartucce ammassate, sacchi di terra, indumenti da soldato di vario genere, rendono difficile e pericoloso il percorso. l super­stiti non possono altro che con grave rischio ritornare presso le case distrutte della zona alta per un tentativo di ricupero tra le macerie.

Di tanto in tanto si sente un fetore insopportabile; ma chi ha il coraggio di esplorare nei paraggi, pur avendo l'assillante peoccupazione di poter scoprire il cadavere di qualcuno di quei poveretti che non si sa ancora dove siano andati a finire!

"Cà di Germino" è quasi a terra, "Le Scope" non esi­stono più. Ma lo stringimento di cuore maggiore si pro­va ad affacciarsi al termine della faticosa salita a quel punto in cui si era soliti vedere la bella Chiesa di Ca­saglia, il cimitero, Dizzola, Poggialto e il gruppo di Cerpiano. Che disastro! L'avevano tanto detto, ma l'impressione supera ogni aspettativa o previsione.

La Cappella di Cerpiano è senza porta, piena di mace­rie·, l'altare ne è ricoperto, ma abbiamo potuto constarare che la pietra sacra è intatta. Il soffitto è per un quarto squarciato e anche una.parete laterale. La tela dell'Altare Maggiore, pur colpita dalle schegge, potrebbe forse salvarsi ancora.

Fuori accanto alla Chiesina c'è la fossa che racchiude le 46 vittime, circondata da pezzi di putrella di ferro messe dai superstiti dopo la liberazione, e la Croce del l'Altare vi è stata piantata sopra. Accanto a quella c'è la tomba di Gino Cincinnati che, come si è detto, fu trovato morto in cantina dopo la liberazione. Il cosi detto "Palazzo" è completamente raso al suolo e così pure la.scuola elementare. Restano in piedi solo i quattro spigoli. Affacciandosi alla cantina, che pare intatta, si sente un fetore insopportabile e nugoli di mosche e mosconi impediscono l'entrata.

La casa colonica vicina è per due terzi a terra e così pure la stalla e il fienile. Nella cucina dei buoni contadini Oleandri c'è ancora il grano sparso per terra e col solito inqualificabile sistema tedesco coperto di porcileria, anche qui mosconi e fetore da non dire.

A Casaglia il ridente e simpatico Piazzale della Chiesa pare non sia esistito. Solo il campanile è in piedi, ma in che stato! La guglia mozzata, il fianco aperto da uno squarcio di cannone e da altri minori. Le campane non si vedono più, ma ci ci hanno detto che una è sotto le macerie della Chiesa e un'altra nel campanile stesso. La bella Chiesa così magistralmente decorata dal Baldi, n.on ha in piedi che la parete di fondo, tutta annerita dalle fiamme. Non c'è più la preziosa tella dell'Assunta dipinta da Elisabella Sir·ani. Tutto il prezioso materiale della Chiesa e gli arredi sacri sono andati distrutti.

La casa colonica e la piccola abitazione attigua...un cu­mulo di enormi rovine. Gli alberi circostanti del pendio sono stati tutti bruciati.

Dietro la.Chiesa ora si vede bene il Poggio di Casaglia, ma quello che prima era un edificio imponente, ora è un ammasso di macerie che fa impressione. La buona e cristiana famiglia Laffi che lo abitava è stata truci­data (9 persone); uno dei due figli superstiti, già rastrellao dai tedeschi, proprio in quel giorno 8 agosto 1945 essendo salito da Gardelletta nei suoi campi al Poggio ha urtato in una mina che è scoppiata egli ha troncato un piede. Ci hanno riferito che in questo campo i tedeschi ai primi di ottobre avevano fatto scavare a quattro giovani rastrellati a Casaglia di Caprara una fossa per seppelirvi una povera vecchietta ben nota: l'Artemisia, che viveva per la carità dei buoni vicini alla Chiesa, era rimasta viva nell'eccidio del cimitero ma gravemente ferita si lamentava di continuo e qualcuno furtivamente per due giorni le aveva portato da bere trasportandola poi lì al Poggio dove era morta quasi subito. Quei quattro giovani avevano appena finito il loro pietoso compito che una scarica di mitraglia li ha uccisi su quella stessa fossa. Purtroppo i quattro cadaveri dopo 11 mesi sono ancora là insepolti, perchè le mine impediscono d'approssimarsi.

Al cimitero di Casaglia, meta del nostro viaggio, ci si stringe il cuore: sconvolte le tombe, abbattuto quasi tutto il muro di cinta, crollata la Cappella tranne un terzo della facciata, tutte le lapidi di marmo sono state tolte dai barbari tedeschi che le hanno usate per rive­stire qualche rifugio fatto per loro riparo sotto alle tombe (e tuttora inesplorato sempre per la quasi cer­tezza che sia minato). Alla sinistra della Cappella mortuaria c'è la gran fossa dove i poveri superstiti hanno sepolto in gran fretta in quei tragici giorni i corpi delle 84 vittime, purtroppo assai pigiati. La gran fossa è come quella di Cerpiano cintata da putrelle di ferro e una rozza Croce di legno con una affrettata dicitura incisa, segnala il numero delle vittime e la ragione della loro morte.

Abbiamo visto Caprara di lontano come un ammasso di rovine, San Martino pure: non si capisce neppure dove fosse la bella Chiesa col suo slanciato campanile che da quel crinale rendeva così bello il panorama.

Scendendo a Gardellella per la lunga mulattiera che passa vicino alla casetta "al Possatore" e alle "Porte", constatiamo che tutte le case sono a terra. Giù nella valle invece Gardellella è quasi intatta per­chè per qualche tempo è stata zona di nessuno e poi occupata dagli Alleati. Ma le case sono state dai tedeschi vuotate di tutto, comprese le porte e le finestre, quasi ovunque.I superstiti della montagna e quelli delle borgate e valle vicine e distrutte vi si sono rifugiati occu­pando tutti i buchi abitabili. Troviamo per prima al termine della discesa la famiglia Vanettiera a Dizzola. Sono vivi tutti e quattro, ma la figliola Paolina, ventenne, ha avuto tutte e due le mani troncate! La povera madre piange desolata pensando all'avvenire di quell'infelice. Colpisce nell'entrare in paese la casa Piretti tutta bruciata. Anche questa ci voleva di disgrazia! Nel luglio 1945 una scintilla proveniente dal forno attiguo ha fatto scoppiare esplosivi nascosti nei paraggi: tre donne che si erano salvate dai vari eccidi, hanno trovato dolorosissima morte mentre altri tre rimanevano feriti. Così l'ottimo capomastro muratore Gigetto Piretti, tanto benem.erito nel paese, che a Cerpiano aveva perduto la moglie, tre dei quattro figlioli e molti parenti stretti, ha avuta anche quest'ultima tribolazione: l'unico figliolo rimastogli, ferito e la casa distrutta.

Vostro Eminenza nella sua visita del 24agosto 1945 tanto desiderata e gradita, ha veduto questa povera gente avvilita, quasi assente; ogni persona avrebbe po­tuto raccontare una storia di dolori e di angoscia. La vita attuale di questa gente è in realtà molto grama. Quasi tutti mancano del necessario per vivere, perchè la terra non ha dato loro niente. In tutta la zona non c'è più  un pollo, quindi niente uova; non hanno condi­menti,  nè carne nè latte. Non luce elettrica e la pompa per l'acqua ha funzionato solo pochi giorni. Nelle case manca tutto il necessario: mobili senza cassetti, senza piedi, suppellettili ricavate alla meglio. Mancano completamete catini per lavarsi e brocche. Qualcuno usa (per lavarsi) delle casselle vuote di proiettili e le posate sono un mito. Niente lenzuoli, biancheria, maglie e calze,ecc.

Per una qualsiasi richiesta di documenti o altre necessità al Comune di Marzabotto da cui dipendono deb­bono necessariamente salire i monti per ridiscendere il versante opposto: circa 4 ore di strada faticosissima e pericolosa per le mine e gli esplosivi. Invece da Vado distano solo 4 chilometri di strada nazionale.

Vostra Eminenza con patema sollecitudine ha già disposto affinchè quelle care anime abbiano subito l'assi­stenza religiosa. Ma le difficoltà per la sistemazione dei missionari non sono ancora risolte.

Le due figlie di Sant'Angela maestre Maria Fabbri e Autonietta Benni, l'una per la scuola elementare, l'altra (ben nota e desideratissima da tutti) per l'asilo infanti­le, con vero spirito missionario sono già pronte a dividere con quella popolazione sacrifici e fatiche. Vostra

MARY TOFFOLETTO ROMAGNOLI